Un attentato di una violenza senza precedenti nel paese ha devastato l’hotel Marriot d’Islamabad, il 21 settembre 2008. Un camion-bomba, contenente una carica esplosiva stimata in almeno 600 kg di TNT più diverse munizioni, ha scavato un ampio cratere, ucciso più di 60 persone e ferite altre 226.
Commentando l’avvenimento in televisione, il redattore-capo del Daily Times ha dichiarato: “E’ l’11-settembre del Pakistan”. Questo grido è stato ripreso da tutte le agenzie di stampa occidentali. Seppure non rivendicato, l’attentato è stato attribuito dalle autorità all’orbita di Al-Qaeda. Il presidente Zarkari ha annunciato che lungi dal rinunciare intensificherà la lotta contro il terrorismo.
Posti nel loro contesto, questi avvenimenti non hanno sfortunatamente nulla di sorprendente. Sulla scia del crollo dell’Unione Sovietica e dell’indipendenza degli Stati dell’Asia centrale, le grandi compagnie petrolifere occidentali hanno moltiplicato i loro piani per lo sfruttamento degli idrocarburi del bacino del Mar Caspio. L’impresa californiana UNOCAL ha presentato due grandi progetti. Il primo (detto BTC) doveva unire il Caspio al Mar Nero passando per l’Azerbaigian, la Georgia e la Turchia, soprattutto con l’aiuto della britannica BP; il secondo doveva collegare il Caspio all’Oceano Indiano attraverso il Turkmenistan, l’Afghanistan e il Pakistan, soprattutto con il sostegno dalla saudita Delta Oil.
Se il BTC è stato costruito senza grandi difficoltà, non è avvenuto lo stesso per la pipeline trans-afgana. UNOCAL si è scontrata con il caos che regna nel paese e si è avvicinata alla Casa Bianca per ottenere la stabilizzazione della regione. L’impresa ha ingaggiato Henry Kissinger come consulente ed ha affidato la direzione del progetto agli ambasciatori John J. Maresca e Robert B. Oakley e a due esperti, Zalmay Khalilzad e Hamid Karzaï. Washington ha acquistato l’aiuto dei talebani che controllavano la maggior parte del paese. Per fare ciò, il Dipartimento di Stato ha accordato loro una sovvenzione di 43 milioni di dollari nel maggio 2001. Con l’accordo del G8 (vertice di Ginevra, 20-22 luglio 2001), si aprirono allora a Berlino negoziati multilaterali con l’Emirato islamico benché questi non fosse riconosciuto dalla comunità internazionale. Tuttavia i talebani avanzarono nuove richieste e i negoziati fallirono.
Gli Stati Uniti e il Regno Unito pianificarono allora l’invasione dell’Afghanistan. Alla fine di agosto 2001, concentrarono le loro forze navali nel Mare di Oman e acquartierarono 40.000 uomini in Egitto. Il 9 settembre 2001, il leader tagiko Shah Massud fu assassinato ma la notizia fu mantenuta segreta. L’11 settembre 2001, il presidente Bush accusò i talebani di essere implicati negli attentati avvenuti a New York e a Washington e indirizzò loro un ultimatum. Poi, gli Anglosassoni rovesciarono il regime dei talebani e presero il controllo del paese con l’operazione “Enduring Freedom” [1].
Sette anni più tardi, la pipeline non è stata ancora costruita e il paese è tuttora in preda al caos. UNOCAL è stata assorbita dalla Chevron con la benedizione di Condoleeza Rice; John J. Maresca è a capo del Business Humanitarian Forum che si occupa attivamente della coltivazione del papavero in Afghanistan a fini medicinali (sic); Robert B. Oakley è stato incaricato di redigere un progetto di riorganizzazione delle istituzioni militari; Zalmay Khalilzad è diventato ambasciatore degli Stati Uniti all’ONU; Hamid Karzaï ha fatto buon uso della sua doppia nazionalità per diventare presidente dell’Afghanistan trasformato in narcostato.
Il Pentagono, impegnato nella palude irachena, ha abbondantemente delegato l’occupazione militare dell’Afghanistan ai suoi alleati della NATO. Per rifornire le sue truppe, l’Alleanza atlantica ha firmato un protocollo con l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (vertice di Bucarest, 4 aprile 2008). I rifornimenti logistici sono condotti attraverso la Russia, l’Uzbekistan e il Tagikistan. Commentando questa strana facilitazione accordata alla NATO, il ministro russo degli Affari esteri Sergei Lavrov ha ricordato l’importanza della cooperazione internazionale contro il terrorismo; più diretto, l’ambasciatore Zamir Kabulov ha dichiarato a Vremya Novostei che l’interesse di Mosca era di vedere gli Occidentali impantanarsi e morire in Afghanistan.
Ora, l’8 agosto 2008, gli Stati Uniti e Israele hanno lanciato le truppe georgiane all’attacco delle popolazioni russe dell’Ossezia del Sud. In risposta, l’esercito russo ha bombardato i due aeroporti militari israeliani in Georgia e la pipeline BTC. Poi, il presidente Medvedev ha riunito l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva che ha abrogato il protocollo che lo legava alla NATO. Infine, i media pubblici russi hanno subito rimesso in discussione il supposto legame tra gli attentati dell’11 settembre 2001 e la colonizzazione dell’Afghanistan da parte della NATO.
Questo capovolgimento è tanto più grave per la NATO che sta subendo una disfatta dopo l’altra. Il 54% del territorio afgano è nelle mani degli insorti. Per affrontarli, il generale David McKiernan chiede l’invio di tre brigate supplementari (ossia 15.000 uomini, che dovrebbero essere tolti dal contingente iracheno). Ma, evidentemente, non è più questione di mandare rinforzi quando i 47.600 uomini già presenti non sono più riforniti e si trovano quindi in grave pericolo.
Per ristabilire la catena logistica, l’Alleanza deve imperativamente trovare con urgenza una via di transito. Nessuna soluzione soddisfacente può essere realizzata a breve scadenza. Cercando prima di tutto di salvare i GI presi in trappola, il segretario della Difesa Robert Gates ha moltiplicato le ampollose considerazioni sull’assenza di coordinazione tra l’ISAF [2], le Forze speciali USA e l’esercito afgano, per proporre in definitiva di modificare la catena di comando. Tutte le truppe, compresi gli alleati, saranno posti direttamente sotto l’autorità del CENTCOM [3]. In altri termini, gli Alleati non avranno più diritto di parola e il Pentagono potrà utilizzare le truppe anglosassoni (USA, Regno Unito, Canada e Australia) lasciando gli altri a sbrogliarsela da soli (Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi, ecc.).
Poiché l’Afghanistan è chiuso ad est da un’alta catena montuosa, l’unico corridoio per l’approvvigionamento è il passo di Khyber, situato in territorio pakistano. Finora era utilizzato soltanto per il rifornimento di carburante. In occasione del lungo ponte di fine settimana per festeggiare l’anniversario della nascita del Profeta (23 aprile 2008), una sessantina di autobotti si sono accalcate al posto di frontiera di Torkhan. Gli insorti hanno attaccato il camion centrale con RPG [lanciarazzi anticarro, ndt] e il tutto si è incendiato in un immenso rogo. Da allora, i convogli non si spostano che sotto una buona scorta.
Il passo di Khyber
Per rendere sicuro il passo di Khyber, il Pentagono ha bombardato bersagli sospetti in territorio pakistano, il 3 settembre. L’ultra pro-USA Ali Asif Zardari è stato eletto presidente del Pakistan il 5 settembre. Il capo di stato-maggiore interarma USA, l’ammiraglio Mike Mullen, ha effettuato una visita a sorpresa in Pakistan il 15 settembre. Ha preteso che il Pakistan cedesse il controllo del passo di Khyber agli Stati Uniti.
Il 21 settembre, il presidente Zardari ha pronunciato il suo discorso d’investitura davanti al Parlamento. Si è impegnato a sostenere gli sforzi del Pentagono contro i “terroristi” afgani. Alla fine della cerimonia, i membri del governo sono stati invitati a l’iftar [il banchetto serale che rompe il digiuno quotidiano durante il mese del Ramadan, ndt] nella residenza del Primo ministro. La maggior parte di loro era furente sia perché il nuovo presidente non aveva confermato il suo impegno a reintegrare i giudici della Corte suprema, sia perché aveva lasciato intendere che avrebbe rinunciato alla sovranità sul passo di Khyber. Nel corso del ricevimento, un camion-bomba ha colpito l’hotel Marriot dove inizialmente era stato previsto l’iftar. L’attentato non poteva che essere interpretato dai parlamentari come un avvertimento della NATO che non esiterebbe ad eliminare chi si oppone ai suoi progetti. Sul piano mediatico, questo attentato giustifica la presa sotto il controllo USA di una porzione del territorio pakistano, così come quello dell’11 settembre aveva giustificato l’invasione dell’Afghanistan.
Intervenendo alla televisione, Najam Sethi, redattore in capo del quotidiano liberale Daily Times, ha esclamato: “E’ l’11-settembre del Pakistan”. Il signor Sethi è un giornalista conosciuto per il suo allineamento con Washington di cui ha sostenuto tutte le incoerenze. Così, ha approvato il colpo di Stato militare del generale Musharraf nel 1999 in nome dell’”ordine” e oggi difende la nuova pedina USA, Ali Asif Zardari, questa volta in nome della “democrazia”. Ha fondato il Daily Times con capitali statunitensi all’inizio del 2002.
Comunque sia, questo attentato segna l’allargamento della guerra d’Afghanistan al Pakistan e rimette in discussione l’equilibrio della regione.
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