Durante gli anni 80-90, l’ecologia è stata dissociata dalle questioni legate alla Difesa per confondersi con le problematiche economiche. In questa seconda parte del suo studio sulla storia della retorica ambientale, Thierry Meyssan analizza come le multinazionali hanno rovesciato la situazione, passando da qualità di imputato a sponsor delle associazioni verdi.
Questo articolo fa seguito a:
– 1. L’ecologia di guerra (1970-1982)
1982: Nairobi, il secondo « vertice della Terra » e la leadership di Margaret Thatcher
Progressivamente, il dibattito si sposta dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (PNUA) verso il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA) dove darà luogo a delle opposizioni tra gli Stati Uniti da una parte, la Santa Sede e l’Iran dall’altra, a proposito della morale sessuale. In seno all’ambiente capitalista, i neo-malthusiani perdono l’influenza a vantaggio dei sostenitori della deregolamentazione. Il presidente Ronald Reagan tratta con disprezzo il secondo « vertice della Terra » (Nairobi, 1982) che passa inosservato. Non è prevista la convocazione di una nuova conferenza.
I democratici statunitensi prendono le cose più seriamente. James Gus Speth, ex consigliere Ambiente di Jimmy Carter, e Jessica Mathews (ex assistente di Zbignew Brzezinski al Consiglio di Sicurezza Nazionale e amministratrice della Rockfeller Foundation) fondano un think tank ecologista destinato ad influenzare la Banca Mondiale, il World Resources Institute. Finanziato da multinazionali, esso sarà il primo organismo di questo tipo a stanziare dei grandi budget per lo studio politico del clima. Pone in causa la capacità degli Stati a rispondere alla sfide ambientali e preconizza un governo globale che, secondo tale istituto, passa per il mercato e non per l’ONU. I trattati sono inutili. Sta alle multinazionali portare avanti questi rapporti ed esse non lo faranno che quando i loro azionisti vi troveranno un interesse.
Dopo l’insuccesso della conferenza di Nairobi, la Nazioni Unite riducono le loro ambizioni e si accontentano di negoziare la Convenzione di Vienna e il Protocollo di Montréal sul divieto dei cluorofluorocarburi, responsabili del « buco dell’ozono ».
Per rilanciare il dibattito che gli sta sfuggendo, il segretario generale dell’ONU, il peruviano Javier Pérez de Cuéllar, nomina una Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo, alla cui presidenza è chiamato il ministro di Stato norvegese (vale a dire il primo ministro), il dottor Gro Harlem Bruntland, ed al segretariato generale Jim MacNeill. Quest’organismo, di cui Maurice Strong è membro, emette un rapporto pessimista e ambiguo, Our Common Future [1]. Prende in considerazione le preoccupazioni del terzo mondo. In quest’ottica, si evoca per la prima volta in un documento internazionale la nozione di « sviluppo sostenuto » (ulteriormente tradotto in « sviluppo sostenibile »). La crescita industriale non è il nemico del genere umano, ma essa deve essere regolata in maniera tale da non ipotecare i diritti delle generazioni future. Ciò sicuramente implica che l’attività umana non deve distruggere il suo ambiente, ma anche che essa non debba creare delle ineguaglianze tali che dei bambini nati in un paese povero siano senza futuro: per i terzomondisti, gli Stati devono legiferare per garantire l’accesso per tutti ai beni comuni, mentre per i capitalisti, essi devono al contrario deregolare per garantire l’accesso delle multinazionali.
Questa doppia lettura inquieta certi Stati sviluppati, ma due fattori li incitano ad impegnarsi nel seguito dei negoziati.
Nel 1986, la navetta Challenger si è disintegrata in volo, 73 secondi dopo il suo decollo. Gli Stati Uniti decidono l’interruzione dei voli. La NASA entra in una fase di introspezione e di riorganizzazione. Per salvare il suo budget, pensa così di dedicarsi all’osservazione dei cambiamenti climatici tramite satellite.
Il direttore dell’istituto di climatologia della NASA, James Hansen, drammatizza il problema in occasione del suo intervento ad una Commissione del Senato [2]. Grazie a lui, il movimento ecologista statunitense trova una garanzia scientifica e la NASA recupera il suo budget.
Hansen rilancia la teoria dell’« effetto serra »: la presenza nell’atmosfera di certi gas, tra cui la CO2, aumenterebbe la temperatura globale della superficie terrestre; un concetto formulato nel 1896 dal fisico e chimico svedese Svante Arrhenius. Questo scienziato scientista aveva espresso l’ipotesi che l’umanità potrebbe sfuggire ad una nuova era glaciale grazie al calore delle sue fabbriche. La sua dimostrazione si era rivelata improvvisata e l’idea era stata abbandonata. James Hansen la riprende – senza verificarla – per trarne la conclusione opposta: lo sviluppo industriale provocherà un riscaldamento climatico dannoso all’umanità.
Margaret Thatcher s’impadronisce a sua volta della questione climatica e s’impone rapidamente come la leader mondiale in materia. Nel 1987, Maumoon Abdul Gayoom, presidente della Maldive, si rivolge a questo tema al vertice del Commonwealth a Vancouver. Il suo paese, dice, scomparirà se il clima si riscalda e le acque salgono. Nel 1988, il Canada e la Norvegia organizzano a Toronto una conferenza ministeriale mondiale sul tema: « La nostra atmosfera cambia: implicazioni per la sicurezza globale » [3], per la prima volta, si trattano possibili spostamenti di popolazione e vi si evocano precisi obiettivi di riduzione dei gas ad effetto serra.
I primi ministri canadese e britannico Brian Mulroney e Margaret Thatcher convincono i loro partner del G7 (Stati Uniti, Francia, Germania e Italia) a finanziare un Gruppo consulente intergovernativo sul mutamento climatico (IPCC, Intergovernmental Panel on Climate Change in inglese) sotto gli auspici del PNUA e dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale, che hanno già iniziato un programma di ricerca comune [4]. Poco dopo, la Thatcher tiene un importante discorso alla Royal Society [5]. Afferma che i gas ad effetto serra, il buco dell’ozono e le piogge acide esigono delle risposte intergovernamentali. Nel 1989, si rivolge all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Suona l’allarme e chiama ad una mobilitazione generale. Annuncia che il Regno Unito ha già preso una serie d’iniziative per modernizzare la sua industria e che metterà a disposizione dei ricercatori del mondo intero gli strumenti informatici necessari allo studio del clima [6]. Di ritorno da Londra, ha creato l’Hadley Center for Climate Prediction and Research, che inaugura solennemente [7]. Sulla stessa linea, partecipa alla conferenza mondiale sul clima a Ginevra dove applaude alla redazione di una Convenzione Mondiale [8].
L’IPCC assume pieno significato con l’Hadley Center. Lady Thatcher non ha voluto creare un’accademia scientifica internazionale, ma un organo politico, incaricato di inquadrare la ricerca; e questo tanto più facilmente giacché gli scienziati che vi partecipano hanno bisogno del Centro Hadley per proseguire i loro lavori. Il suo obiettivo non era fabbricare una falsa scienza per appoggiare una linea politica, ma orientare la ricerca fondamentale affinché essa diventi una ricerca applicata, utile ad una da lei sperata nuova rivoluzione industriale.
La volontà di Lady Thatcher, ex ricercatrice in chimica organica, di fondare la prosperità e l’influsso del suo paese sulla sua leadership scientifica, è senza dubbio. Al contrario dei neo-malthusiani, ella afferma che i progressi scientifici devono permettere di risolvere la sfida climatica. Cita come esempio il modo in cui la città di Londra si è liberata della fog, quella spessa nube formata dai fumi di fabbrica portati al suolo dalla nebbia. Lontana dal condannare l’industrializzazione, intende realizzare una nuova rivoluzione industriale che porterà di nuovo il suo paese in testa all’economia mondiale. Chiude le miniere di carbone, si appoggia sul petrolio del mare del Nord e prepara il futuro col nucleare.
Questa grandiosa ambizione, che persegue nel più totale disprezzo della classe operaia ed imponendo una marcia forzata alla classe dirigente, si infrange sui dissensi del partito conservatore che si ribella al suo autoritarismo e la costringe alle dimissioni.
1992: Rio, il terzo « vertice della Terra »ed il trionfo di Maurice Strong
Nel corso degli ultimi anni, Maurice Strong ha lasciato la funzione pubblica canadese. È diventato miliardario. È stato nominato direttore di Petro-Canada e ha accumulato un’impressionante fortuna personale. Col mercante d’armi saudita Adnan Kashoggi, ha creato l’American Water Development, una società che acquista la valle di Saint Louis per sfruttare le riserve d’acqua del Colorado. Ma devono fare i conti con la rabbia degli abitanti che temono di veder trasformata questa verdeggiante regione in un deserto.
Subito Strong rinuncia. A suo dire, un saggio gli avrebbe rivelato le proprietà mistiche di questo luogo sacro per gli indiani. Con sua moglie Hanne, convinta di essere la reincarnazione di una pretessa indiana, creano la Manitou Foundation, di cui lei è presidente e lui tesoriere. Investono 1.2 milioni di dollari. Costruiscono al Baca Ranch di Crestone, un vasto complesso di spiritualità new age dove si frequentano templi indù e buddisti, templi ebraici e chiese cristiane, sciamani ed altri stregoni, secondo un urbanesimo esoterico. Alte personalità membri del serissimo Aspen Institute (Rockfeller, Kissinger, etc…) vengono a meditarvi affinché tutte le religioni diventino un’unica religione. Laurance Rockfeller (fratello di David) fa dono di 100 000 dollari. Anche questa strana avventura finisce rapidamente così com’era cominciata, senza che si sia mai saputo se fosse il risultato di un delirio collettivo o se facesse parte di un piano di comunicazione per addolcire l’immagine di squali tenuta da Maurice Strong ed i suoi amici.
In fondo, il Baca Ranch sarebbe servito da laboratorio per elaborare la vulgata ecologista: un religione alla moda, fondata sul mito biblico del diluvio, ricoperta da diverse impronte culturali, in particolare buddiste. L’uomo peccatore ha ceduto alla tentazione industriale e deve subire il castigo divino. A causa del riscaldamento climatico che egli ha provocato, presto le acque ricopriranno la superficie della Terra. Solo Noè l’ecologista sopravviverà al diluvio e con lui le piante e gli animali che avrà salvato.
Questa credenza si appoggia su una cosmogonia ispirata a dei lavori del chimico James Lovelock (nominato Comandante dell’Impero Britannico da Margaret Thathcer): la teoria Gaia. Lo scienziato inglese ha iniziato a dimostrare che l’atmosfera terrestre è regolata dagli esseri che ci vivono. Su questa base, già soggetta a vari dubbi, i creatori del Baca Ranch affermano che il pianeta Terra si comporta come un organismo vivente: è Gaia, la dea-madre della mitologia greca. Assurda quanto possa sembrare, questa cosmogonia si è imposta nell’immaginario contemporaneo. Così, « non si parla più di salvare l’umanità » dalla degradazione del suo ambiente naturale, ma di « salvare il pianeta », sebbene nessuno contesti che questo astro morto ha qualche miliardo di anni di esistenza davanti a lui.
Comunque sia, gli anglosassoni riescono a far eleggere Maurice Strong alla presidenza della Federazione Mondiale delle Associazioni delle Nazioni Unite (WFUNA). Questa posizione gli permette di gestire una campagna affinché l’ONU organizzi un nuovo vertice della Terra. Quando la decisione è presa, non trova difficoltà, visto il suo ruolo a Stoccolma e il suo passaggio al PNUA, a vedersene affidare la segreteria generale.
Per preparare il vertice di Rio, Maurice Strong si fa dare aiuto prima da un consigliere speciale, il suo amico Jim MacNeill che era stato il direttore Ambiente dell’OECD, poi dal redattore del rapporto Brundtland. Così come Strong, MacNeill è membro della Commissione Trilaterale che David Rockfeller ha creato con Zbignew Brzezninski. In quest’ambito, egli redige il rapporto preparatorio della conferenza, Beyond Interdependence (Al di là dell’indipendenza) [9], in cui Strong scrive la prefazione. L’idea principale che attraversa il rapporto della Rockfeller Foundation prima della conferenza di Stoccolma, il rapporto della commissione ONU dopo quella di Nairobi e quello della Commissione Trilaterale prima quella di Rio è che non bisogna opporre interessi economici e preoccupazioni ambientali accusando le multinazionali di inquinare senza vergogna. Al contrario, bisogna unire industriali e ambientalisti, potendo vedere l’ecologia come un lucrativo business. Rimane da fare ingoiare questo boccone all’opinione pubblica.
Maurice Strong favorisce le associazioni ecologiste invitandole a presentare i loro suggerimenti per il vertice e trattandole con molto riguardo. Contemporaneamente, accorda un posto strategico alle multinazionali, nominando il miliardario svizzero Stephan Schmidheiny consigliere principale per la preparazione del vertice.
Schmidheiny raccoglie all’interno del World Business Council for Sustainable Development (WBCSD) le principali multinazionali che temono che il vertice sbocchi in un accusa alle loro pratiche. Propone loro di gestire delle azioni di lobbying per prevenire tutte le norme che intralcino le loro attività e per far avanzare la globalizzazione economica sotto le spoglie dell’ecologia.
Schmidheiny, che viene celebrato a livello mondiale come un filantropo ecologista, ha costruito la sua fortuna con la società di materiali da costruzione Eternit. Posta sotto esame dal procuratore generale di Torino, Raffaele Guarinello, sarà giudicata nel 2010. Essa avrebbe scientemente contaminato la città di Casale dove si trovavano le fabbriche, provocando la morte di 2900 persone e la contaminazione di altre 3000.
Mentre Maurice Strong e i suoi amici preparano la conferenza, numerosi scienziati manifestano il loro dissenso per la piega che hanno preso le cose. Il giornalista francese Michel Salomon riunisce 3000 universitari e 72 nuovi soci del Premio Nobel attorno all’Appello di Heidelberg. Facendo allusione ai santuari di Baca Ranch e alle teorie di Gaia, essi denunciano « l’emergenza di un’ideologia irrazionale che si oppone al progresso scientifico ed industriale e nuove allo sviluppo economico e sociale ». Osservando la mobilitazione del WBCSD, affermano « l’assoluta necessità di aiutare i paesi poveri a raggiungere un livello di sviluppo sostenibile e in armonia con quello del resto del pianeta, di proteggerli dai fattori di degrado provenienti da nazioni sviluppate e di evitare di rinchiuderli in una rete di obblighi irrealistici che compromettano allo stesso tempo la loro indipendenza e la loro dignità ». Infine, concludono che « i più grandi mali che minacciano il nostro pianeta sono l’ignoranza e l’oppressione e non la scienza, la tecnologia e l’industria i cui strumenti, qualora gestiti in maniera adeguata, sono mezzi indispensabili che permettono all’umanità di porre fine, grazie a sé stessa e per sé stessa, a flagelli come la fame e la sovrappopolazione ».
Strong e Schmidheiny reclutano allora il gabinetto di relazioni pubbliche Burson-Marsteller. La specialità del suo PdG, Harold Burson, è di identificare i segmenti di popolazione che possono essere utilizzati per una causa, di organizzarli in associazioni, e poi di utilizzarli per difendere a loro insaputa gli interessi dei suoi clienti. Ha, per esempio, creato delle associazioni di malati per facilitare l’accesso alle medicine prodotte dai suoi clienti (al posto di combattere per l’accesso ai medicinali più efficaci), o ancora delle associazioni di fumatori per lottare contro le leggi antitabacco (invece di lottare per delle sigarette non tossiche), etc…Trasformerà il vertice di Rio in una gigantesca fiera associativa che darà un’apparente legittimità popolare a delle decisioni prese a monte e in segreto da un sindacato di multinazionali [10].
Questa tecnica di manipolazione è diventata classica. È stata riproposta in seguito per numerose conferenze internazionali.
172 delegazioni, compreso un centinaio di capi di Stato e di governo, partecipano al vertice di Rio (dal 3 al 4 giugno 1992). Vengono adottati numerosi documenti in un’atmosfera di festa. La Dichiarazione di Rio [11] enuncia 27 principi, tra cui quello della precauzione: « l’assenza di assoluta certezza scientifica non deve servire da pretesto per rimandare a più tardi l’adozione di misure effettive miranti a prevenire il degrado dell’ambiente » [12]. La Dichiarazione è frutto di una vera negoziazione tra Stati. Afferma il diritto delle generazioni future allo sviluppo sostenibile, cosa che implica non solo che la crescita economica non deve realizzarsi a scapito dell’ambiente, ma anche che non deve perpetuare le ineguaglianze Nord-Sud. Nel diritto internazionale, l’ambiente diviene una questione di giustizia sociale.
Per l’applicazione di questi principi, gli Stati membri vengono rinviati ad un altro documento, Action 21 [13]. È un programma dettagliato che esplicita la relazione tra sviluppo ed ambiente, elencando i principali problemi ambientali, precisando i gruppi e le istituzioni da mobilitare, e moltiplicando le buone intenzioni. Ma questo secondo documento è stato svuotato dei riferimenti a delle situazioni conflittuali. Gli Stati Uniti e Israele hanno in particolare ottenuto la cancellazione di tutte le citazioni ai diritti dei « popoli sottomessi all’oppressione, alla dominazione e all’occupazione ». Soprattutto, la guerra non appare più come il fattore primo dei danni allo sviluppo e all’ambiente. È il trionfo di Maurice Strong e dell’ecologia-fantoccio. Le multinazionali possono continuare a depredare il pianeta a patto che restino pulite nei paesi sviluppati. Il Pentagono, che ha appena devastato un prima volta l’Iraq, può continuare le sue distruzioni senza scrupoli: essi non contano.
(Segue…)
Traduzione di Matteo Sardini (Eurasia Rivista)
[1] Francese: Notre avenir à tous. Inglese: Our Common Future. Spagnolo: Nuestro Futuro Común.
[2] Greenhouse Effect and Global Climate Change, discorso di James Hansen per la Commissione Senatoriale dell’Energie e delle Risorse Naturali, 23 giugno 1988.
[3] « Our Changing Atmosphere : Implications for Global Security ».
[4] Déclaration économique, G7, Toronto, §33.
[5] Speech to the Royal Society, di Margaret Thatcher, 27 settembre 1988.
[6] Speech to United Nations General Assembly (Global Environment) di Margaret Thatcher, 8 novembre 1989.
[7] Speech opening Hadley Centre for Climate Prediction and Research, di Margaret Thatcher, 25 maggio 1990.
[8] Speech at 2nd World Climate Conference, di Margaret Thatcher, 6 novembre 1990.
[9] Beyond Interdependence : The Meshing of the World’s Economy and the Earth’s Ecology, di Jim MacNeill, Pieter Winsemius e Taizo Yakushiji, Oxford Paperbacks, febbraio 1992.
[10] « Burson-Marsteller, Pax trilateral and the Bruntland Gang versus the Environment » di Joyce Nelson, e « Poisoning the Grassroots » di John Dillon, Covert Action Quaterly, primavera 1993.
[11] Testo integrale della Déclaration de Rio.
[12] Il principio di precauzione, come è stato formulato dalla Dichiarazione di Rio o dalla Carta francese dell’ambiente, mira a accrescere la base giuridica dell’azione politica in favore dell’ambiente, di fronte alle perizie scientifiche fornite dalle multinazionali. È stato in seguito spesso rovesciato per giustificare una forma di passività politica in qualunque ambito di attività.
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