La lancetta dell’«Orologio dell’apocalisse», il segnatempo simbolico che sul «Bulletin of the Atomic Scientists» indica a quanti minuti siamo dalla mezzanotte della guerra nucleare, è stata spostata in avanti: da 5 a mezzanotte nel 2012 a 3 a mezzanotte nel 2015 [“Three minutes and counting”, by Lynn Eden, Robert Rosner, Rod Ewing, Sivan Kartha, Edward "Rocky" Kolb, Lawrence M. Krauss, Leon Lederman, Raymond T. Pierrehumbert, M. V. Ramana, Jennifer Sims, Richard C. J. Somerville, Sharon Squassoni, Elizabeth J. Wilson, David Titley et Ramamurti Rajaraman, Bulletin of the Atomic Scientists, January 19, 2015.]], lo stesso livello del 1984 in piena guerra fredda. Sui grandi media, la notizia è passata quasi del tutto sotto silenzio. Eppure a lanciare l’allarme sono noti scienziati dell’Università di Chicago che, consultandosi con altri (tra cui 17 Premi Nobel), valutano la possibilità di una catastrofe provocata dalle armi nucleari in concomitanza con il cambiamento climatico dovuto all’impatto umano sull’ambiente.
Il cauto ottimismo sulla possibilità di tenere sotto controllo la corsa agli armamenti nucleari è svanito di fronte a due tendenze: l’impetuoso sviluppo di programmi per la modernizzazione delle armi nucleari e il sostanziale blocco del meccanismo di disarmo. Al primo posto, tra le cause del rilancio della corsa agli armamenti nucleari, gli scienziati statunitensi mettono il programma di «modernizzazione» delle forze nucleari Usa, che comporta «un costo astronomico». Confermano così quanto già documentato [1]: il presidente Obama – insignito nel 2009 del Premio Nobel per la Pace per «la sua visione di un mondo libero dalle armi nucleari, che ha potentemente stimolato il disarmo» – ha presentato 57 progetti di upgrade di impianti nucleari militari, con un costo stimato di 355 miliardi di dollari in dieci anni. Il programma prevede anche la costruzione di 12 nuovi sottomarini da attacco nucleare (ciascuno con 24 missili in grado di lanciare fino a 200 testate nucleari), altri 100 bombardieri strategici (ciascuno armato di circa 20 missili o bombe nucleari) e 400 missili balistici intercontinentali con base a terra (ciascuno con una potente testata nucleare). Si stima che l’intero programma verrà a costare circa 1000 miliardi di dollari.
Anche la Russia, indicano gli scienziati statunitensi, sta procedendo all’«upgrade» delle sue forze nucleari. Lo conferma l’annuncio di Mosca che esse svolgeranno nel 2015 oltre 100 esercitazioni. Secondo la Federazione degli scienziati americani, gli Usa mantengono 1920 testate nucleari strategiche pronte al lancio (su un totale di 7300), in confronto alle 1600 russe (su 8000). Comprese quelle francesi e britanniche, le forze nucleari della Nato dispongono di circa 8000 testate nucleari, di cui 2370 pronte al lancio. Aggiungendo quelle cinesi, pachistane, indiane, israeliane e nordcoreane, il numero totale delle testate nucleari viene stimato in 16300, di cui 4350 pronte al lancio.
Sono stime approssimative per difetto, in quanto nessuno sa esattamente quante testate nucleari vi siano in ciascun arsenale. Quello che scientificamente si sa è che, se venissero usate, cancellerebbero la specie umana dalla faccia della Terra. A rendere la situazione sempre più pericolosa è la crescente militarizzazione dello spazio.
Una risoluzione contro il dispiegamento di armi nello spazio esterno, presentata dalla Russia alle Nazioni Unite, ha ricevuto il voto contrario di Stati uniti, Israele, Ucraina e Georgia, e l’astensione di tutti i paesi dell’Unione europea. Compresa l’Italia dove, violando il Trattato di non-proliferazione, vi sono 70-90 bombe nucleari Usa in fase di «ammodernamento», e per il secondo anno consecutivo si è svolta l’esercitazione Nato di guerra nucleare.
Dove i grandi media, che sembrano illuminarci su tutto, spengono i riflettori mentre la lancetta dell’Orologio si avvicina alla mezzanotte.
[1] “Il riarmo nucleare del Premio Nobel per la pace”, di Manlio Dinucci, Il Manifesto (Italia), Rete Voltaire, 24 settembre 2014.
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