Dopo il «cessate il fuoco» annunciato al Cairo dalla Clinton, un ventenne di Gaza, Anwar Qudaih, era andato a festeggiare nella «zona cuscinetto», la fascia larga 300 metri in territorio palestinese, dove un tempo la sua famiglia coltivava la terra. Ma quando si è avvicinato alla barriera di filo spinato, un soldato israeliano gli ha sparato in bocca.
La prima vittima del «cessate il fuoco», che si aggiunge ai 170 uccisi, un terzo donne e bambini, e agli oltre mille feriti dai bombardamenti, che hanno provocato danni per 300 milioni di dollari.
Perché il «cessate il fuoco» possa durare «devono cessare gli attacchi di razzi» contro Israele, sottolinea la Clinton, attribuendo ai palestinesi la responsabilità della crisi. Il piano di Washington era chiaro fin dall’inizio: permettere che Israele desse «una lezione» ai palestinesi e si servisse dell’operazione bellica quale test per una guerra regionale, evitando però che l’operazione si allargasse e prolungasse. Ciò avrebbe interferito con la strategia Usa/Nato, che concentra le forze su due obiettivi: Siria e Iran.
In tale quadro rientra la nuova partnership con l’Egitto, che secondo la Clinton sta riassumendo «il ruolo di pietra angolare di stabilità e pace regionale svolto per lungo tempo», quindi anche nei trent’anni del regime di Mubarak. Il presidente Morsi, lodato dalla Clinton per la sua «leaderhip personale» nel conseguimento dell’accordo, ne ha tratto vantaggio per concentrare il potere nelle proprie mani. In compenso Washington gli chiede un più stretto controllo del confine con Gaza, così da rafforzare l’embargo.
Ma lo scopo della partnership va ben oltre: essa mira a integrare l’Egitto, dipendente dagli aiuti militari Usa e dai prestiti del Fmi e delle monarchie del Golfo, nell’arco di alleanze costruito da Washington in funzione della sua strategia in Medioriente e Nordafrica.
Significativo, in tale quadro, è il ruolo del Qatar: dopo una visita segreta in Israele (documentata però da un video), l’emiro Sheikh Hamad bin Khalifa Al-Thani è andato a Gaza a promettere aiuto e dopo ha incontrato il presidente Morsi al Cairo, consegnandogli 10 milioni di dollari per curare i palestinesi feriti dalle bombe israeliane. Si presenta così come sostenitore della causa palestinese e araba, mentre ciò che sostiene è in realtà la strategia Usa/Nato, come ha fatto inviando forze speciali e armi in Libia nel 2011 e oggi in Siria.
Altra politica a due facce è quella del premier turco Erdogan che, mentre condanna Israele e annuncia una prossima visita di solidarietà a Gaza, collabora di fatto con Israele nell’accerchiare e disgregare la Siria e, chiedendo l’installazione di missili Patriot nella zona di confine, permette alla Nato di imporre una no-fly zone sulla Siria.
Dello stesso tenore la politica del governo italiano che, mentre rafforza i legami militari con Israele permettendo ai suoi cacciabombardieri di esercitarsi in Sardegna, promette aiuti alle imprese palestinesi di artigianato.
Così, mentre le navi da guerra israeliane, appoggiate da quelle Nato (italiane comprese), bloccano i ricchi giacimenti palestinesi di gas naturale nelle acque territoriali di Gaza, i palestinesi potranno vivere intagliando oggetti di legno. Come, negli Usa, gli abitanti delle «riserve indiane».
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