Secondo Thierry Meyssan, gli europei sono ciechi perché non vogliono vedere. Nonostante gli innegabili fallimenti, insistono a ritenere che l’Unione Europea significhi pace e prosperità. Credono che sul piano interno ci sia contrapposizione tra patrioti e populisti, in realtà entrambe le parti si pongono sotto la protezione del Pentagono, che le difende dalla Russia. La strategia internazionale nata dopo la seconda guerra mondiale va avanti a loro spese, senza che ne abbiano consapevolezza.
Dopo la comune vittoria della seconda guerra mondiale, Sati Uniti e Regno Unito fecero propria l’immagine dell’alleato sovietico descritta dall’ambasciatore USA a Mosca, George Kennan: l’URSS, un impero totalitario che ambiva conquistare il mondo. Sicché invertirono la rotta e studiarono la strategia del contenimento (containment): il mondo si divideva in tre parti, la parte già sotto il dominio sovietico, la parte libera e, infine, la parte da decolonizzare e da proteggere dall’orco sovietico.
Inizialmente, quando Stalin continuava a deportare popolazioni nei gulag, l’analisi poteva sembrare corretta. Ma, almeno dopo la morte di Stalin, la sua falsità avrebbe dovuto essere evidente. Infatti, Che Guevara, ministro dell’Economia a Cuba, scrisse un libro contro il modello sovietico e proseguì la rivoluzione in Africa senza chiedere permesso ai sovietici, contando però sul loro appoggio.
Comunque sia, Stati Uniti e Regno Unito decisero di proteggere l’Europa Occidentale dal giogo sovietico e di creare gli “Stati Uniti d’Europa”, secondo un modello che si richiamava a quello che gli europei, stanchi di farsi la guerra, concepirono all’inizio del XX secolo. In realtà si trattava di un modello completamente diverso, paragonabile invece a quello della Lega Araba o a quello dell’Organizzazione degli Stati Americani, istituita nello stesso periodo.
Poche furono le personalità dell’Europa Occidentale che vi si opposero. Tuttavia, mettendo a frutto la lezione della divisione del mondo uscita dalla Conferenza di Yalta, gollisti e comunisti francesi non sciolsero l’alleanza che strinsero durante la guerra mondiale e ostacolarono la creazione di una struttura sovranazionale, nell’intento di preservare, più o meno, le sovranità nazionali, benché sotto le bandiere britannica e statunitense. Per questa ragione gollisti e comunisti francesi si opposero insieme al comando integrato della NATO e alla riformulazione della costruzione europea degli anglosassoni. Gollisti e comunisti francesi consideravano l’Europa coincidente con l’intero continente, «da Brest a Vladivostok». In effetti, dopo aver concepito il loro particolare sistema giuridico, gli inglesi si erano allontanati dalla cultura europea, mentre i russi l’avevano estesa conquistando la Siberia.
La dissoluzione dell’URSS nel 1991 avrebbe dovuto mettere fine a queste discussioni. Non fu così. Infatti, il segretario di Stato James Baker annunciò che Comunità Europea e NATO avrebbero integrato tutti gli Stati europei liberatisi dal giogo sovietico. Gli Stati accettarono. Baker fece contemporaneamente redigere il Trattato di Maastricht, che trasformava gli Stati del Vecchio Continente in «Stati Uniti d’Europa», sotto la tutela della NATO. La moneta unica di questa entità sovranazionale, l’euro, avrebbe dovuto essere emessa a equivalenza del dollaro. Tutto fu fatto troppo rapidamente perché così avvenisse. Come sempre diffidenti verso la Russia, Washington e Londra ne respinsero l’adesione all’Unione Europea, però l’associarono nella gestione delle leve del potere, aprendole la porta del G7, che divenne così G8 con prerogative decisionali.
Nel 1999 la caduta di Boris Eltsin e l’ascesa al potere di Vladimir Putin mise fine a questo periodo di titubanza. Le istituzioni controllate da Washington divennero più rigide. La strategia del containment – fallita durante la guerra fredda – fu rispolverata e nell’immaginario anglosassone l’orso russo sostituì l’orso sovietico. Oggi, con i pretesti più diversi, e persino senza alcun pretesto, Washington adotta ogni genere di sanzioni economiche, politiche e militari contro Mosca. La Russia è stata anche espulsa dal G8.
Per comprendere le elezioni del parlamento europeo del 23-26 maggio, nonché la successiva nomina del presidente della Commissione Europea, bisogna collocarle in questo contesto storico e strategico. Gli Stati Uniti hanno deciso che alla presidenza della Commissione siederà Manfred Weber, che hanno incaricato di sabotare l’approvvigionamento dell’Unione Europea di idrocarburi russi. La prima battaglia di Weber sarà fermare la costruzione del gasdotto Nord Stream 2, nonostante i miliardi di euro investiti e i miliardi di euro che si risparmierebbero.
Affinché il parlamento europeo elegga democraticamente Weber non è necessario il sostegno della maggioranza dei parlamentari. È sufficiente che il suo gruppo, il PPE [Partito Popolare Europeo] ottenga il maggior numero di voti: il Trattato prescrive solo che il Consiglio Europeo deve «tener conto del risultato delle elezioni». Washington ha perciò preparato un parlamento dominato dal PPE e, in seconda posizione, dall’Europa delle Nazioni e della Libertà (ENL).
Steve Bannon è stato spedito in Europa per consigliare Matteo Salvini e creare una spinta da parte dei partiti identitari – non indipendentisti –, facendo però particolare attenzione a che l’ENL non possa ottenere la maggioranza.
– Per questa ragione, nonostante le fatiche di Salvini, il partito polacco Diritto e Giustizia è stato convinto a restare in seno ai Conservatori e Riformisti Europei (CRE), in cambio di un aumento “significativo” dei soldati USA in Polonia.
– Il 13 maggio Donald Trump ha ricevuto alla Casa Bianca l’ungherese Viktor Orban, ingiungendogli di mantenere il proprio partito all’interno del PPE, in cambio di armi e di gas naturale.
– Infine, è stato fatto trapelare alla stampa tedesca un video in cui Heinz-Christian Strache, capo del Partito della Libertà Austriaco (FPÖ), si fa corrompere. Il video è di vecchia data ed è stato messo in scena e filmato da una donna che si presenta come agente russo, ma che verosimilmente è un’agente della CIA.
Nonostante quel che la stampa ripete insistentemente, non c’è contrasto di fondo tra il Partito Popolare Europeo (PPE) e l’Europa delle Nazioni e della Libertà (ENL): entrambi non muovono obiezioni alla NATO, che impone le proprie decisioni politiche fondamentali. Esiste solo una ripartizione dei ruoli.
La propaganda ufficiale per lo svolgimento delle elezioni ripete in continuazione che «L’Europa è pace e prosperità». Uno slogan incompatibile con la funzione antirussa svolta dall’Unione Europea.
– Cominciamo dalla pace: l’Unione è stata incapace di liberare Cipro ¬– membro della UE dal 2004 – occupata dal 1974. L’esercito turco occupa un terzo dell’isola e ha creato un’unità di collaborazione, chiamata Repubblica Turca di Cipro del Nord. I ciprioti che vi abitano non hanno potuto essere iscritti nelle liste elettorali per le elezioni del parlamento. Non solo Bruxelles se ne infischia della loro sorte, stende anche un tappeto rosso al presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, cui elargisce sovvenzioni per miliardi di euro. Vero è che la Turchia è membro della NATO.
– Riguardo alla prosperità, questione del gasdotto Nord Stream 2 a parte, l’Unione ha già applicato così bene la strategia USA che, mentre il resto del mondo è in crescita, essa è in stagnazione. Nel decennio successivo alla crisi finanziaria del 2008 la Cina è cresciuta del 139%, l’India del 96%, gli Stati Uniti del 34%, l’Unione Europea è invece in decrescita del 2%.
Dal momento che non esiste un sentimento di appartenenza all’Unione, la campagna elettorale si compie a livello degli Stati membri: non ci sono partiti politici su scala europea, bensì unioni di partiti politici dei diversi Paesi. Non c’è nemmeno una giornata elettorale unica, ma elezioni organizzate su quattro giorni, secondo le tradizioni nazionali.
Dal momento che negli elettori prevale un diffuso sentimento di mancanza di chiarezza e di poca onestà, l’astensione dovrebbe essere massiccia. Nonostante in alcuni Paesi il voto sia obbligatorio e in altri si svolgano contemporaneamente elezioni nazionali, oltre metà degli elettori diserterà le urne. Di conseguenza, sebbene le procedure siano perfettamente democratiche, il risultato non sarà rappresentativo della volontà dell’insieme del corpo elettorale, quindi non sarà democratico. Manfred Weber sarà eletto dalla minoranza di un parlamento a sua volta eletto dalla minoranza degli elettori.
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