Hollande pone il proprio mandato quinquennale sotto l’egida di Jules Ferry, il cantore del colonialismo francese. Infatti sceglie il generale Benoît Puga come capo di stato-maggiore particolare. Questi non è un soldato qualsiasi, ma un veterano del colonialismo: si lanciò su Kolwezi e supervisionò il Muro di separazione in Palestina.

La rivolta dei kanak in Nuova Caledonia e la crescente insicurezza a Mayotte mettono in risalto le difficoltà della Francia con il suo ex impero.

Le due France e la colonizzazione

Per capire cosa sta accadendo, bisogna tener presente che la colonizzazione francese non ha nulla a che vedere con le forme di colonizzazione praticate da Regno Unito, Portogallo, Spagna o Paesi Bassi. L’ideale repubblicano, che le è stato proprio fin dal XVII secolo (Enrico IV fu il primo monarca a dichiararsi repubblicano), vietava alla Francia di colonizzare esclusivamente a scopo di arricchimento. I cantori francesi del colonialismo sostenevano tutti, senza eccezioni, di «portare la civiltà». Per repubblica intendo il governo nell’interesse generale e non nell’interesse di una casta o di una classe sociale.

Dal XVI secolo al XIX secolo la maggior parte dei popoli colonizzati non aveva né l’istruzione né la tecnologia degli europei. Tra questi ultimi, alcuni volevano colmare il divario, altri invece volevano sfruttarlo. Durante l’epopea coloniale, anche in Francia si scontravano due correnti, una favorevole all’emancipazione, l’altra alla colonizzazione. Questa battaglia interna si espresse emblematicamente nel dibattito parlamentare del 31 luglio 1885, all’Assemblea Nazionale, tra il socialista Jules Ferry e il radicale repubblicano Georges Clemenceau.

Leggiamo un passo del discorso di Georges Clemenceau: «”Le razze superiori hanno un diritto da esercitare sulle razze inferiori, e questo diritto, attraverso una particolare trasformazione, è al tempo tesso un dovere di civilizzazione”. Questi sono i termini della tesi di Monsieur Jules Ferry e vediamo il governo francese esercitare il proprio diritto sulle razze inferiori entrando in guerra contro di loro e convertendole di forza ai benefici della civiltà. Razze superiori! Razze inferiori, si fa presto a dire! Da parte mia, sono stato costretto a ricredermi, in particolare quando ho visto scienziati tedeschi dimostrare scientificamente che la Francia doveva essere sconfitta nella guerra franco-prussiana [1870] perché i francesi sono di razza inferiore ai tedeschi. Da allora, lo confesso, ci penso due volte prima di liquidare un uomo o a una civiltà dicendo: uomo o civiltà inferiori (…). I cinesi, razza inferiore! Con la loro civiltà le cui origini sono sconosciute e che sembra essere stata spinta sin dall’inizio ai suoi estremi limiti. Inferiore Confucio! In verità (…) quanti documenti provano che la razza gialla di certo non è affatto inferiore [a quella degli europei]!».

Dal punto di vista economico, l’obiettivo della colonizzazione francese era trovare sbocchi per l’esportazione della produzione industriale, mentre l’obiettivo della colonizzazione britannica era trovare materie prime da mettere a disposizione dell’industria britannica.

Da un punto di vista filosofico, la colonizzazione francese fu giustificata dalla teoria delle razze e della loro gerarchia. Ma fu da subito evidente che nessun francese poteva credervi. Si trattò di un’argomentazione usata esclusivamente per ragioni di comunicazione politica. Infatti, a differenza di altri popoli coloniali, i francesi cercarono sempre di capire la civiltà dei Paesi in cui si insediavano e di mescolarsi con le loro popolazioni. Gli inglesi crearono invece nelle colonie club esclusivi, mentre i tedeschi vietarono «i matrimoni interrazziali» (1905).

Dopo la guerra franco-prussiana del 1870, i nazionalisti sognavano di liberare l’Alsazia-Mosella; la statua che in Place de la Concorde simboleggiava questa regione fu per 48 anni coperta da un velo nero. I sostenitori della colonizzazione volevano invece distogliere l’esercito dalla missione di difesa della nazione e trasformarlo in “forza di proiezione”, capace di conquistare regioni lontane.

Per questa ragione oggi è ingiusto giudicare la colonizzazione francese nel suo complesso, definendola buona o cattiva in sé: ovunque entrambe le correnti hanno lasciato la loro impronta. Ricordo con emozione la visita che feci con il presidente dell’Assemblea del Popolo siriano agli edifici dell’istituzione. Il mio ospite iniziò spiegandomi che la sede parlamentare aveva subito due bombardamenti dal “Partito coloniale” francese. La prima volta nel 1920, per imporre il mandato dell’SDN [Società delle Nazioni], la seconda nel 1945, quando la Siria era indipendente da quattro anni e partecipava alla creazione delle Nazioni Unite. Dopo l’omaggio ai morti del parlamento, il presidente mi raccontò la storia del processo a un leader rivoluzionario che esortava a cacciare l’occupante francese. Nell’arringa davanti al tribunale militare il suo avvocato sostenne che questo siriano aveva compiuto esclusivamente il proprio dovere di patriota, in piena conformità con gli ideali della Repubblica francese. I giurati, scelti a caso tra soldati francesi, decisero all’unanimità di rilasciarlo. I generali reagirono trasferendoli in altre colonie e mandandoli in prima linea, sperando cadessero sul campo d’onore. Il presidente dell’Assemblea mi espose le sue riflessioni: «Alla fine molti di noi sono morti, vittime del “Partito coloniale”, ma anche voi francesi avete pagato il prezzo a un ideale che ci guida entrambi». Per molti versi la colonizzazione francese fu un errore, ma non fu espressione della volontà dei francesi. Lo dimostra l’episodio citato in cui non un unico giurato, ma tutti i giurati fecero fronte comune con i rivoluzionari siriani; e lo dimostra anche il bombardamento del 1945, che fu un’iniziativa del generale Oliva-Roget all’insaputa del governo provvisorio di Charles De Gaulle, che lo silurò immediatamente.

Tuttavia, quando arrivò il momento della decolonizzazione, militari francesi che avevano appena liberato il Paese dall’occupazione nazista decisero di prolungare il sogno imperiale. Il bombardamento di Damasco fu prodromico ai massacri di Haiphong (Indocina) e di Sétif (Algeria). Così si scatenarono guerre atroci per la grandeur dell’Impero. Questi uomini erano convinti che non si dovessero abbandonare i popoli conquistati e parzialmente integrati nella Repubblica. Non lo facevano perché legati a un partito politico: infatti erano tanto di destra che di sinistra. Erano semplicemente incapaci di pensare mettendosi nei panni dei popoli colonizzati.

Questa medaglia in nickel, emessa negli anni Sessanta dalla SNL, presenta, al rovescio, la seminatrice della moneta francese, la moneta di 25 centesimi dei Paesi Bassi e la moneta greca. Sul dritto è presente il logo della società, all’epoca controllata dai Rothschild. Oggi la legge garantisce l’anonimato dei proprietari.

La Nuova Caledonia

Questo blocco mentale si manifesta ancora oggi in Nuova Caledonia e Mayotte. Molti francesi sono incapaci di concepire la fondatezza dell’esigenza d’indipendenza. Il “Partito coloniale”  che non è mai stato un partito politico, ma una lobby trasversale  è tuttora attivo. Per convincere gli indecisi, gli basta nascondere alcuni pezzi del mosaico. Ma, quando ne vengono informati, in generale i francesi si schierano per l’indipendenza e si scusano per non averla sostenuta prima.

I francesi hanno un vago ricordo del referendum nazionale del 1988 che approvò gli Accordi di Matignon. Sanno che era l’inizio del processo di decolonizzazione in Nuova Caledonia e che, entro trent’anni, i kanak avrebbero potuto decidere se rimanere all’interno della Repubblica francese o diventare indipendenti. L’idea che, una volta istruiti, i popoli colonizzati potessero integrarsi nella Repubblica su un piano di parità è rimasta nel testo della Costituzione fino al 1995, con il nome di «Comunità francese» (Titolo XII).

I francesi non capiscono perché un’improvvisa fiammata di violenza sia costata la vita a una decina di persone e abbia causato danni per un miliardo di euro.

Anche in questo caso la stampa svolge un ruolo propagandistico, nascondendo molte informazioni. È vero che i cittadini della Nuova Caledonia rifiutarono l’indipendenza in tre successivi referendum locali. L’ultimo (2021) fu respinto con una maggioranza schiacciante del 96,5%. Ma è vero anche che gli indipendentisti lo boicottarono in massa perché, ci dissero, erano sicuri di perdere. Non è vero! Inizialmente chiesero di rinviare il voto di un anno, poi, in uno spirito di compromesso, di soli due mesi. L’arcipelago era colpito dalla pandemia di Covid 19. Molti anziani erano morti. Nella cultura kanak a ogni morte segue un periodo di lutto di un anno. In questo periodo di mortalità elevata era impossibile per gli indipendentisti condurre una campagna elettorale, così come era impossibile per il popolo decidere con serenità se l’indipendenza del Paese doveva essere all’interno o all’esterno della Repubblica. Alla fine proposero di ridurre a due mesi il rinvio della votazione per poter adempiere ai propri riti funebri. Il rifiuto del presidente Emmanuel Macron di trovare un accordo fu percepito come un rigetto della cultura kanak. Così il referendum fu boicottato non solo dagli indipendentisti ma anche dalla quasi totalità dei kanak. Non si trattava di una questione politica, bensì culturale. Sono bastati tre anni per spazzare via il rispetto e la fiducia costruiti in trent’anni.

Come se non bastasse, il processo dell’Accordo di Matignon prevedeva il trasferimento irreversibile di alcune competenze da Parigi a Nouméa. Inoltre, al termine del processo di decolonizzazione e dei tre referendum locali, l’elettorato della Nuova Caledonia sarebbe stato esteso alle persone lì stabilitesi dopo il 1988. I favorevoli alla permanenza nella Repubblica, o per meglio dire i sostenitori della colonizzazione, hanno spinto affinché questo adeguamento avvenisse il più rapidamente possibile. Dal punto di vista demografico i kanak sono infatti diventati una minoranza nel loro stesso Paese. I “lealisti” (sic) hanno organizzato diverse manifestazioni cui i kanak hanno risposto con contromanifestazioni con il doppio di partecipanti. Il presidente Macron ha allora messo all’ordine del giorno dell’Assemblea nazionale e del senato la convocazione delle due assemblee unite in Congresso per discutere dell’inserimento nella Costituzione della nuova composizione dell’elettorato della Nuova Caledonia. La miccia è stata così accesa.

I “lealisti” e il presidente Macron sono perciò gli unici responsabili dell’arresto del processo di decolonizzazione e delle rivolte che ne sono seguite. Il viaggio-lampo del presidente Macron in Nuova Caledonia non ha portato alcuna novità. Anzi, la mancanza di proposte ha confermato la sua intenzione di continuare a non ascoltare i kanak e il suo disprezzo per la loro cultura. È improbabile che il successore di Macron sarà in grado di riparare il danno, gli Stati confinanti sono tutti convinti che la Nuova Caledonia otterrà l’indipendenza con la forza. Quindi, per proteggerli dalla violenza della rivoluzione appena iniziata, hanno rimpatriati i loro cittadini.

La principale fonte di ricchezza della Nuova Caledonia è l’estrazione del nickel, che si spartiscono due società, SLN e Prony Ressources. Sono organizzate in una struttura di tipo britannico che permette di nascondere l’identità degli azionisti. Prima dell’Accordo di Matignon (1988) il settore era interamente controllato dai Rothschild, ex datori di lavoro di Macron.

È impossibile trovare una fotografia più precisa della base di intercettazione di Badamiers a Mayotte. Esiste una base simile in Nuova Caledonia. Entrambe le basi sono essenziali al sistema d’intercettazione elettromagnetica della Francia in particolare e dell’Occidente in generale.

Mayotte

Il caso di Mayotte è molto diverso in quanto non c’è un movimento indipendentista, ma la volontà delle Comore di riunirsi, come la Francia che ritrovò la propria unità recuperando l’Alsazia e la Mosella. Come detto, i sostenitori della colonizzazione non lo volevano.

Nel 1973 la Francia negoziò un accordo con il presidente del Governo del territorio, Ahmed Abdallah Abderamane. L’intesa fu firmata dal ministro per i Territori d’Oltremare, il centrista Bernard Stasi. Parigi s’impegnò a organizzare un referendum sull’indipendenza in tutto l’arcipelago e a non dividerlo.

Le Comore votarono in massa a favore dell’indipendenza, a eccezione dell’isola di Mayotte. I sostenitori della colonizzazione sostennero che l’articolo 53 della Costituzione del 1958 precisa che «Nessuna cessione, scambio o aggiunta di territorio è valida senza il consenso delle popolazioni interessate». Ma Mayotte fu acquistata dalla Francia prima del resto dell’arcipelago e la legge referendaria specificava che Parigi avrebbe applicato la volontà «delle popolazioni», non «della popolazione». Il presidente Valéry Giscard d’Estaing, che era stato un sostenitore dell’Algeria francese, decise di separare Mayotte dall’arcipelago. L’Unione delle Comore entrò nelle Nazioni Unite senza Mayotte. All’epoca quasi tutti gli Stati membri dell’Onu s’indignarono per il mancato rispetto da parte della Francia dell’impegno del 1973.

In seguito, il “Partito coloniale”, che non aveva digerito questa indipendenza più delle altre, cercò di riprendere il controllo del resto dell’arcipelago. Le due correnti che si erano scontrate sulla colonizzazione si affrontarono di nuovo. Ma dalla fine dell’indipendenza dell’Algeria, il “Partito coloniale” non poteva più contare sull’esercito. Si affidò perciò a un ex soldato passato alle milizie private, il “mercenario” Bob Denard. Infine, nel 2009, Nicolas Sarkozy trasformò Mayotte in dipartimento, come già per l’Algeria prima dell’indipendenza.

Oggi l’afflusso di comoriani a Mayotte provoca violenze generalizzate, mentre non c’è violenza nell’Unione delle Comore. Dal punto di vista francese questi migranti sono illegali, ma dal punto di vista comoriano, sono i francesi in loco a essere illegali. Nel 2023 il ministro dell’Interno Gérard Darmanin, ha schierato 1.800 poliziotti nell’ambito dell’operazione Wauambush (Ripresa del controllo). Nel frattempo, a Moroni si svolgevano grandi manifestazioni al grido di «No alla Francia» e «No alla presenza francese a Mayotte».

L’esercito francese ha bisogno di Mayotte. Vi ha dislocato un’unità della Legione straniera, che controlla le Isole Gloriose (a loro volta territorio del Madagascar, occupato illegalmente dalla Francia). Ma, soprattutto, a Mayotte l’esercito ha un centro d’intercettazione elettromagnetica, collegato alla rete Echelon dei “Cinque Occhi” (Australia, Canada, Stati Unit, Nuova Zelanda e Regno Unito).

Ecco perché gli Stati presi di mira dallo spionaggio occidentale sostengono l’ingresso di Mayotte nell’Unione delle Comore. In particolare Russia e Cina.

Conclusione

Alcuni territori e dipartimenti d’Oltremare non sono stati interessati dalla colonizzazione, per esempio l’Isola della Riunione era deserta prima di diventare proprietà francese. Altri, come Guadalupa e Martinica sono stati prima colonizzati e poi decolonizzati. La Francia ha quindi pieno diritto di tenerli finché le popolazioni indigene lo accettano. Tuttavia la Francia deve sempre tener presente che abbandonare le popolazioni locali le spingerà a pretendere l’indipendenza. È quello che è accaduto in Nuova Caledonia.

In altri casi, come Mayotte, la Francia ha tradito la propria parola dividendo le Comore. Quale che sia il prosieguo degli avvenimenti, a Mayotte la Francia non è più a casa propria e dovrà un giorno restituire l’isola all’arcipelago cui l’ha sottratta.