Nel regolamento dei conti tra Google e il governo cinese, i mezzi di comunicazione dipingono Google come un difensore della libertà su internet e un sostenitore dei diritti umani del popolo cinese. Una totale ipocrisia, se si considera che Google fa parte di un cartello di società operanti in internet, che complottano assieme all’apparato d’intelligence statunitense, anche per la destabilizzazione di governi stranieri. Ci si può stupire, allora, se le autorità cinesi percepiscono Google come un canale di propaganda nera? Comunque sia, l’attuale alterco non è altro che un elemento in un più ampio tiro alla fune geopolitico ed economico tra i due Paesi, in cui la Cina sembra avere la meglio.
L’escalation nel conflitto tra Google e la Repubblica Popolare Cinese interviene nel contesto del rapido deterioramento delle relazioni tra i due Paesi su molti fronti. Google fa parte di un cartello di società operanti in internet che, notoriamente, lavorano a stretto contatto con l’intelligence statunitense per scopi politici, ivi inclusi sovversione e rovesciamento di governi stranieri. Basta ricordare il ruolo centrale di Twitter nel tentato colpo di stato della CIA in Iran la scorsa estate [1]. La manipolazione politica per mezzo di Internet è una componente indispensabile della ricetta della CIA per condurre rivoluzioni colorate, rivoluzioni di velluto, golpe popolari e golpe postmoderni [2].
Quando internet viene introdotto in Paesi precedentemente autoritari, è spesso possibile abbindolare, manipolare e fomentare un gran numero di giovani entusiasti e politicamente poco sofisticati. I risultati sono spesso disastrosi. In Georgia, una rivoluzione colorata ha portato al potere quel pazzo di Sakaashvili, che ha già dato inizio ad una guerra [3]. Yushenko, beneficiario della Rivoluzione Arancione del 2004, è appena stato pesantemente ripudiato dagli elettori dopo una presidenza catastrofica. I postumi della sbornia e la disillusione che circondano Obama sono legati al fatto che egli, in un certo senso, ha preso il potere nella stessa maniera. Per queste ragioni, il governo cinese ritiene che ci siano validi motivi per cui è necessario impedire che le agenzie di intelligence occidentali iniettino enormi quantità di propaganda nera in Cina attraverso internet. In ogni caso, questa questione riguarda puramente gli affari interni cinesi e gli Americani in particolare dovrebbero mettere ordine a casa propria prima di fare prediche al resto del mondo.
La mattina del 4 gennaio, il Los Angeles Times ha riferito che la Grande Firewall con cui il governo cinese filtra i contenuti online era momentaneamente venuta a mancare. Era opera degli Stati Uniti? O forse la Cina credeva che fosse opera degli Stati Uniti? Circa dieci giorni dopo, Google, Adobe, e Northrop Grumman hanno accusato hacker cinesi di accesso ai propri siti per raccogliere informazioni. Il governo cinese ha informato Google che, se avesse insistito nel violare la legge cinese, la società non avrebbe potuto continuare ad operare e Google ha annunciato la propria imminente dipartita dal mercato cinese. Negli uffici di Google in Cina girano voci di spionaggio.
Molti resoconti giornalistici asseriscono che Google si oppone alla censura per principio. Balle allo stato puro. Google sostiene la censura nella misura in cui essa è dettata dall’intelligence degli Stati Uniti. Gli analisti e ricercatori che hanno esaminato a fondo le questioni relative agli attacchi dell’11 settembre e agli attentati del 7 luglio 2005 a Londra conoscono bene i molti modi in cui Google ha tentato di ostacolare l’accesso pubblico a dati ed analisi che non erano in linea con la narrazione ufficiale. Google è stata fondamentalmente ostile nei confronti di chiunque criticasse le versioni ufficiali del governo statunitense in merito a queste provocazioni terroristiche sotto falsa bandiera. Dire che Google sia contraria alla censura è quindi un atto di ipocrisia monumentale.
Le relazioni sino-statunitensi si stanno deteriorando rapidamente verso una nuova Guerra Fredda o qualcosa di ancora peggiore. L’intera politica estera degli Stati Uniti è fortemente motivata da fattori anti-cinesi. Il Pakistan è fatto bersaglio di distruzione principalmente perché potrebbe costituire un corridoio energetico tra Iran e Cina a beneficio di quest’ultima [4]. Le azioni degli Stati Uniti in Yemen [5], Somalia, Sudan, Zimbabwe, Birmania, e in molti altri punti del pianeta sono fondamentalmente dettate dal desiderio di dare scacco matto alla Cina. Fatto sta che la Cina sta contrastando tutto questo in modo molto più efficace. Alla recente conferenza di Copenhagen sul clima, la strategia di U.S.A. e Gran Bretagna si è basata sulla grande menzogna del riscaldamento globale per istituire una dittatura mondiale degli idrocarburi da usare poi per strangolare lo sviluppo economico di Cina, India e altre nazioni in via di sviluppo. Come segnalato da resoconti sul Guardian britannico, il primo ministro cinese Wen ha diretto con successo un’operazione di bloccaggio con l’aiuto di Paesi come Sudan, Venezuela, Cuba, Bolivia e altri ancora, e nel mentre ha personalmente snobbato Obama diverse volte. In merito alle sanzioni contro l’Iran, i Cinesi avvertono che le bloccheranno nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, e le stanno anche eludendo in vari modi.
Ora la Cina ha superato la Germania diventando il maggiore esportatore del mondo, e si stima che possieda circa 2,5 trilioni di dollari in valuta estera, gran parte della quale denominata in dollari. Una guerra commerciale tra Cina e U.S.A. su questioni come pneumatici e acciaio è divenuta una chiara possibilità. Gli Stati Uniti continuano con l’incessante lagna sulla presunta fluttuazione sporca della valuta cinese, il renminbi. Gli Stati Uniti sono sull’orlo di un’imponente vendita di armi alla Repubblica di Cina (Taiwan), cosa cui Beijing non potrà non opporsi. Persino peggiore sarà la visita del Dalai Lama alla Casa Bianca di Obama, che viene ora data come imminente. Sebbene sia idoleggiato da un branco di degenerati holliwoodiani, il Dalai Lama è in realtà un famigerato asset dell’intelligence occidentale, nonché il simbolo di un brutale regime di oppressione feudale che teneva la maggior parte della popolazione in stato di servitù della gleba e una significativa minoranza in schiavitù. Il governo statunitense continua a trasferire significative somme di denaro alla sinistra Rebiya Kadeer e al suo World Uighur Congress, che il governo Cinese accusa di essere responsabili dei bagordi omicidi avvenuti in Xinjiang (Turkestan cinese) nel luglio del 2009 [6], per cui sono state ora pronunciate due dozzine di condanne a morte. Un cittadino britannico accusato di essere uno spacciatore di droga è appena stato giustiziato dai Cinesi, che non hanno dimenticato le tre Guerre dell’Oppio dichiarate contro di loro da Londra allo scopo di introdurre con la forza nel mercato cinese narcotici letali.
Più importante, forse, di qualsiasi altro singolo disaccordo su questioni concrete, è stato il nuovo senso di sicurezza, fiducia in sé e autoaffermazione del governo cinese, emerso dopo la bancarotta dei sistemi bancari statunitense e britannico nell’autunno del 2008. Per molti decenni, la diplomazia cinese è stata tipicamente molto cauta, mantenendo un bassissimo profilo e un approccio moderato. Il successo delle operazioni del primo ministro Wen a Copenhagen è una chiara indicazione dei grandi cambiamenti in corso in questo ambito. Evidentemente i Cinesi vedono Google come un simbolo di arroganza ed egemonismo che non sono più disposti a tollerare.
Traduzione per ComeDonChisciotte.org a cura di Oriana Bonan.
[1] « La CIA e il laboratorio iraniano », di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 19 giugno 2009.
[2] « La technique du coup d’État coloré », di John Laughland, Réseau Voltaire, 5 gennaio 2010.
[3] « Les dessous du coup d’État en Géorgie » , di Paul Labarique, Réseau Voltaire, 7 gennaio 2004.
[4] « Obama Declares War on Pakistan », di Webster G. Tarpley, Voltaire Network, 15 dicembre 2009.
[5] « Yemen: Behind Al-Qaeda Scenarios, a Geopolitical Oil Chokepoint to Eurasia », di F. William Engdahl, Voltaire Network, 6 gennaio 2010.
[6] « Washington is Playing a Deeper Game with China » , di F. William Engdahl, Voltaire Network, 13 luglio 2009.
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