L’amministrazione Biden – come le precedenti di Bush, Obama e Trump – il 27 giugno ha deciso di bombardare dei “nemici”, ossia milizie filoiraniane in Siria.
Tuttavia, per la prima volta da vent’anni, il presidente USA non ha giustificato il bombardamento in nome dell’AUMF 2001 (Authorization for Use of Military Force of 2001) – che sanciva la “guerra senza fine”, ideata da Donald Rumsfeld e dall’ammiraglio Arthur Cebrowski – né dell’AUFM 2002 (Authorization for Use of Military Force of 2002), che riguardava soltanto l’Iraq.
L’amministrazione Biden ha invece invocato i poteri di guerra attribuiti al presidente dalla Costituzione. Biden dovrebbe perciò rendere rapidamente conto del proprio operato al Congresso, il cui consenso gli è indispensabile per proseguire su questa via.
Una svolta giuridica che segue il summit USA-Russia di Ginevra (la cosiddetta Yalta II) e coincide con l’esame da parte del Congresso dell’abrogazione degli AUMF. La Camera dei Rappresentanti ha già votato a favore; il senato ne sta discutendo a porte chiuse, in seno alla Commissione per gli Affari Esteri.
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