Vladimir Putin e Donald Trump, entrambi rieletti con forte sostegno popolare, s’incontreranno presto. Già si parlano per interposti inviati speciali. Riprenderanno le loro vecchie relazioni, con la differenza che ora la Russia è militarmente più forte degli Stati Uniti.

Le relazioni internazionali stanno cambiando con estrema rapidità e su più fronti contemporaneamente.

Due settimane fa abbiamo mostrato che l’Iran ha abbandonato il proprio ideale rivoluzionario e si è allontanato dagli alleati sunniti di Hamas e della Jihad islamica, e persino dagli alleati sciiti dello Hezbollah libanese, dall’iracheno Hachk al-Chaabi e dallo yemenita Ansar Allah [1]. Lo confermano la riunione in cui Hassan Nasrallah è stato assassinato dalle FDI grazie a informazioni iraniane, indi le dichiarazioni confuse dell’ayatollah Ali Sistani in Iraq, infine le misure adottate per prevenire l’assassinio di Abdel Malek al-Houthi in Yemen [2].

Poi la scorsa settimana abbiamo riferito come, al vertice di Kazan, i BRICS abbiano ribadito di voler difendere il diritto internazionale contro «l’ordine basato su regole» degli anglosassoni [3].

Questa settimana la schiacciante vittoria elettorale di Donald Trump segna il trionfo dei jacksoniani sui Democratici, ma anche sui Repubblicani, nonostante Trump sia stato sostenuto dal loro partito. Dovrebbe conseguirne che gli Stati Uniti cesseranno le loro guerre in Ucraina e in Medio Oriente, a vantaggio di una guerra commerciale generalizzata.

Passiamo al continente europeo. Nel Regno Unito c’è stata la caduta di Rishi Sunak, sostituito da un membro della Commissione Trilaterale (cioè da un sostenitore degli interessi commerciali statunitensi), Keir Starmer. In Germania si attende la caduta del cancelliere Olaf Scholz e in Francia si prevede quella del primo ministro Mihel Barnier; in entrambi i casi si ignora da chi saranno sostituiti.

Si tratta di avvenimenti che in Occidente hanno il medesimo senso: l’ideologia neoconservatrice e la religione woke vengono rinnegate a vantaggio della difesa delle nazioni. Le classi medie si ribellano: pur non essendo xenofobe, non accettano più di essere sacrificate in nome della specializzazione produttiva del mondo imposta dalla globalizzazione di matrice anglosassone.

In linea generale, quel che si può prevedere è che nei prossimi anni ci dirigeremo verso l’abbandono sia della volontà imperialista degli anglosassoni sia della volontà antimperialista dell’Iran. Allo stesso tempo dovremmo assistere a un rafforzamento del diritto internazionale: nonostante i jacksoniani non lo riconoscano. Riconoscono però l’importanza delle firme in ambito commerciale. Washington probabilmente spingerà l’Iniziativa dei Tre Mari dell’Europa centrale, non prima però di aver costretto l’Ucraina ad ammettersi sconfitta da parte della Russia. Ne conseguirà l’ascesa della Polonia a scapito della Germania, nonché un indebolimento dell’Unione Europea. Gli Stati Uniti e i BRICS concorderanno sulla necessità di cooperare, ma si scontreranno sullo status di moneta di riferimento del dollaro.

Non possiamo ancora vedere questi grandi cambiamenti perché non capiamo come ragiona ognuno di questi protagonisti. Li fraintendiamo perché interpretiamo ciò che dicono e ciò che fanno in funzione del ruolo che occupavano nel vecchio mondo.

Siamo ciechi, soprattutto nei confronti degli Stati Uniti, che ci ostiniamo a considerare nostri padroni. Conosciamo solo la doxa neoconservatrice e immaginiamo che gli statunitensi la pensino tutti a questo modo nonostante abbiano deciso di liberarsi della sua ferula.

L’elezione, o meglio la rielezione di Trump, la sua schiacciante vittoria sia per la Casa Bianca sia per il Congresso sono l’esito della rivolta delle classi medie statunitensi contro gli intellettuali occidentali coalizzati contro di lui.

Ricordiamo che Trump, all’epoca imprenditore immobiliare New York, fu la prima personalità a mettere in dubbio, nel pomeriggio dell’11 settembre 2001, la versione ufficiale che attribuiva gli attacchi agli islamisti. In seguito finanziò, in seno al Tea Party, la contestazione della legittimità del presidente Barack Obama. Prese infine il controllo del partito Repubblicano vincendo la resistenza dell’ex vicepresidente Dick Cheney (membro del continuity government, il governo di continuità, quello che Trump chiama Deep State, Stato profondo). Fece poi campagna elettorale in modo innovativo, basandosi sull’osservazione dei social network e rispondendo in modo emblematico alle aspettative delle classi medie. Appena eletto, e ancor prima che si insediasse alla Casa Bianca, il partito Democratico lanciò a livello mondiale una campagna diffamatoria contro di lui [4]. Per tutta la durata del mandato Trump dovette fare i contri con i propri collaboratori, che non esitavano a mentirgli e a fare il contrario di ciò che il presidente ordinava loro di fare, poi vantandosene. Ciononostante, riuscì, solo contro tutti, a interrompere la “guerra senza fine” in Medio Oriente nonché il sostegno militare e finanziario della Cia ad Al Qaeda e Daesh.

La squadra di Joe Biden era invece formata da personale del Center for Strategic and International Studies (CSIS), del Center for a New American Security (CNAS), della Rand Corporation, nonché di General Dynamics, Raytheon, Northrop Grumman e Lockheed Martin. Biden ha rilanciato le guerre in Medio Oriente e ne ha iniziata una nuova in Ucraina.

Non sappiamo se Trump cercherà di continuare nel secondo mandato ciò che aveva iniziato nel primo. Ora conosce le trappole di Washington e può contare su una squadra che nel primo mandato gli mancava. L’unica incognita è ciò che ha dovuto concedere per poter vincere. La sua politica in Medio Oriente è consistita nel sostituire alla guerra il commercio attraverso gli Accordi di Abramo, ma è stata fraintesa perché il genero, Jared Kushner, responsabile della loro attuazione, è profondamente razzista. Ha anche trasferito l’ambasciata degli Stati Uniti da Tel Aviv a Gerusalemme, ritenendola implicitamente la capitale dell’unico Stato ebraico. Durante la campagna elettorale ha accettato notevoli donazioni dalla vedova di Sheldon Adelson, indefettibile sostenitore dei “sionisti revisionisti”. Nessuno sa se in cambio si sia impegnato a sostenere lo Stato di Israele o il progetto coloniale di Vladimir Jabotinsky.

La vittoria di Trump non porrà fine agli scontri, ma li sposterà dal campo di battaglia militare a quello economico. Ma attenzione: per analizzare la sua politica, le categorie che abbiamo usato dal XVIII secolo si riveleranno inefficaci. Trump non vuole scegliere tra protezionismo e libero scambio, ma tra settori economici, distinguendo i prodotti che difenderà con dazi doganali perché non in grado di competere con i Paesi concorrenti, dai prodotti in grado di inondare il mercato globale. Trump non è amico di tutti gli imprenditori, tutt’altro. Si oppone a quelli che vivono alle spalle dello Stato rifilandogli prodotti scadenti, come ha fatto per trent’anni il complesso militare-industriale statunitense. I concetti di destra e sinistra, d’interventista e isolazionista sono tutti ugualmente obsoleti. La posta in gioco è di natura diversa.

Traduzione
Rachele Marmetti

[1La gara al rialzo Israele-Iran maschera le nuove alleanze in Medio Oriente”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 5 novembre 2024.

[3A Kazan l’ordine del mondo è precipitato”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 29 ottobre 2024.

[4Il dispositivo Clinton per screditare Donald Trump”, di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist (Italia) , Rete Voltaire, 4 marzo 2017.