Gli interventi dei grandi esperti pubblicati sulle pagine di commento dei media dominanti non riflettono una diversità di pensiero ma, al contrario, rinchiudono il dibattito all’interno di problematiche univoche. Per Cédric Housez, nessuna contestazione è possibile senza rimettere prima in discussione certe rappresentazioni dell’11 settembre e dei dogmi della guerra al terrorismo.
L’attuale situazione internazionale necessita che venga ripensato il funzionamento dei media al fine di sviluppare un vero pluralismo, condizione necessaria per riorientare le politiche vigenti dopo l’11 settembre 2001.
Gli attentati dell’11 settembre 2001 hanno aperto la strada ad una trasformazione delle politiche degli Stati Uniti e dei loro alleati. Essa è stata accettata dalla popolazione in ragione dello choc subito in seguito agli attentati. Ma quell’avvenimento da solo non sarebbe stato sufficiente. Dall’11 settembre abbiamo assistito ad una trasformazione della cultura politica dominante e alla nascita di un’ideologia della « guerra al terrorismo ».
La cultura politica è costituita da un insieme di conoscenze e di convinzioni che permettono agli individui di dare un senso ai loro rapporti con il potere che li governa e con i gruppi che servono loro da riferimento identitario. Le ideologie sono dei sistemi di rappresentazioni nel senso che si fondano su un minimo di logica interna e di costruzione razionalizzante. Le ideologie non sono delle pure e semplici giustapposizioni di stereotipi ; esse si elaborano sulla base di un lavoro di spiegazione teorica e dottrinale.
Dall’11 settembre 2001, abbiamo assistito ad un grande lavoro ideologico che promana da dirigenti politici, da esperti mediatici e da noti giornalisti, il quale consente di far accettare alla popolazione le scelte dei dirigenti occidentali sulla « guerra al terrorismo » come le sole possibili. A questo fine, è stato necessario influenzare le convinzioni della popolazione e l’ideologia dominante, trasformando le rappresentazioni delle popolazioni. Ciò è stato fatto capitalizzando vecchi stereotipi, facendoli evolvere, rinverdendone alcuni e inventandone di nuovi. Si sono inoltre moltiplicate le false informazioni per accreditare questi stereotipi e queste credenze e dare loro corpo.
Il più celebre esempio di false informazioni è senza dubbio la propaganda che ha preceduto l’attacco all’Iraq. Oggi più nessuno – a parte i telespettatori di Fox News- crede all’esistenza di armi di distruzioni di massa irachene o di legami tra Saddam Hussein e Al Qaïda (per quanto certi propagandisti particolarmente tenaci vi si adoperino ancora). Ma quelle false informazioni hanno permesso di costruire una rappresentazione collettiva del più grande pericolo per le nostre società : l’acquisizione di armi di distruzione di massa da parte di gruppi terroristici. Questo rischio, a forza di essere martellato dai media e dai dirigenti politici ha acquisito una visibilità propria, rendendosi autonomo dalle false informazioni che lo avevano fatto nascere ed è entrato nelle rappresentazioni collettive occidentali come lo scenario catastrofico per eccellenza , quello che bisogna ad ogni9 costo impedire e che giustifica tutte le azioni dei governanti. A questa nuova paura è venuta ad aggiungersi la riattivazione della rappresentazione coloniale dell’Arabo carico di odio o sottosviluppato che bisogna, a seconda dei casi, combattere o civilizzare. Abbiamo anche assistito alla rivivificazione della retorica anti-totalitaria e alla sua rappresentazione di un blocco democratico in pericolo. Tutte queste rappresentazioni sono state associate tra di loro dalla ripetizione e da una presentazione distorta per accreditare agli occhi dell’opinione pubblica gli orientamenti dei neoconservatori. Queste rappresentazioni sono state associate o semplicemente giustapposte per offrire un quadro ideologico, che rifiuta di presentarsi come tale, a giustificazione della « guerra al terrorismo ».
Non vi è società politica vivibile senza interiorizzazione di un minimo di convinzioni comuni circa la necessità delle adesioni alla comunità e alla legittimità del governo. Al momento dell’11 settembre 2001, l’amministrazione Bush non beneficiava che parzialmente di tale legittimità tanto la sua elezione era stata intaccata da evidenti brogli. Con l’11 settembre 2001, il governo statunitense è riuscito ad imporre non solo la convinzione nella propria legittimità, ma anche un certo numero di rappresentazioni, grazie alle quali ha potuto concentrare tra le sue mani un potere senza precedenti nella storia di quel paese. Gli alleati occidentali degli Stati Uniti hanno fatto anch’essi proprie tali rappresentazioni per condurre ovunque nel mondo delle politiche analoghe le quali offrono agli Stati dei poteri discrezionali che intaccano le libertà dei loro cittadini. I miti costituiti o riattivati hanno pure giustificato una sottomissione di alcuni Stati agli Stati Uniti, nel quadro della necessaria unità dell’ « Occidente » contro un pericolo « islamista ». Sul piano internazionale, queste rappresentazioni hanno permesso di mobilitare le opinioni pubbliche in favore di una politica coloniale presentata come legittima difesa. Questi atteggiamenti hanno suscitato pochissime reazioni e proteste. Questo lo si può in parte spiegare con un processo di interiorizzazione delle convinzioni fondanti martellate dopo l’11 settembre 2001. Accettando le rappresentazioni dell’11settembre 2001, i governati hanno accettato le costrizioni. Secondo un ben noto meccanismo, a confronto con una regola obbligatoria che lede i suoi interessi o lo priva della sua totale libertà d’iniziativa, l’individuo di trova posto di fronte al seguente dilemma : ribellarsi (con il rischio di doverne pagare pesantemente il prezzo se la sua resistenza viene schiacciata oppure di dover sopportare il peso del suo non conformismo nei confronti del resto del gruppo), o cedere alla forza. Se egli si persuade di obbedire più ad una norma d’interesse generale che ad una violenza esterna, la seconda soluzione del dilemma gli diviene meno penosa a livello di autostima: egli allora conserva la sensazione soggettiva di essere libero. E oggi, una larga parte dell’ambiente mediatico e politico dei cittadini occidentali li spinge ad accettare tale sottomissione come necessaria.
Oggi, tenuto conto del costo della « guerra al terrorismo » e dei suoi fallimenti, le pratiche sono contestate, ma le rappresentazioni veicolate dal lavoro di propaganda rimangono e disgraziatamente è probabile che la cultura politica dominante resterà fortemente ed a lungo influenzata dall’ideologia della « guerra al terrorismo ». Oggi, le élite politiche e medianiche si accontentano di criticare i dirigenti più contestati e le messe in pratica delle politiche, ma le loro finalità restano legittimate. Le politiche condotte sono state parzialmente screditate, le false informazioni sono state spesso individuate, ma le rappresentazioni dominanti perdurano e continuano ad essere convalidate dai media dominanti. Questa tendenza viene in particolare illustrata con le prese di posizioni pubbliche e specialmente attraverso pagine di libera opinione scritte da quelle figure politiche o mediatiche.
Il peso delle pagine di opinione e degli esperti mediatici
Storicamente, le pagine di « libera opinione » sono comparse sui giornali anglosassoni come un contrappunto o un chiarimento diverso dall’editoriale. Oggi, queste rubriche non solo vanno nello stesso senso degli editoriali, ma diffondono le stesse rappresentazioni nella quasi totalità delle testate della stampa dominante. Naturalmente esistono dei dibattiti, a volte vivaci, tra gli autori di questi testi. Ma nella stragrande maggioranza dei casi essi non fanno che porsi nei limiti ammessi dalla discussione all’interno di una stessa corrente di pensiero avendo assimilato ed incorporato nella loro analisi le rappresentazioni della « guerra al terrorismo ». Invece di dare un’opinione su un fatto, le pagine degli opinionisti servono ad avvalorare l’interpretazione degli avvenimenti veicolata dai media dominanti, facendo anche loro eco al punto di vista dei dirigenti politici. Le pagine di opinione, contrariamente a quello che pretendono di fare, sostengono il mito di una verità unica e oggettivabile.
Il giornalismo pretende di consegnarci una verità, ma molto spesso tale verità è presentata negando ogni altra possibilità d’interpretazione di un evento, come se un fatto non possa avere che una sola possibile lettura o, quantomeno, una sola lettura legittima. Le tribune, le analisi di esperti e gli editoriali sono partecipi di questo processo di reificazione degli avvenimenti. Una volta che l’avvenimento è oggettivato con la salsa mediatica dominante, può svolgersi il dibattito sulla miglior reazione possibile all’avvenimento, ma senza uscire dalla lettura e dalla rappresentazione dell’avvenimento.
Oggi, la diffusione delle rappresentazioni dominanti occidentali si fa in un quadro mondializzato che ha ulteriormente ristretto il pluralismo delle opinioni. Mentre gli incensatori della mondializzazione affermano che questo processo offre un’apertura verso una moltiplicazione dei punti di vista, non si può invece non constatare che essa permette solo una diversificazione delle nazionalità degli esperti mediatici, ma realizza un’uniformazione internazionale delle analisi e delle rappresentazioni. Lungi dall’aver permesso di esprimersi ai punti di vista che provengono dai diversi paesi, la mondializzazione ha permesso ancora di più al punto di vista e alle élite dei paesi dominanti di esprimersi in modo più ampio. Così, sulle pagine degli opinionisti, abbiamo visto sempre di più l’arrivo di figure americaniste provenienti da diversi Stati, che vengono ad elargire al mondo intero la veduta « del loro paese », che ufficialmente respingono ogni partito preso ideologico, mentre le loro affermazioni e opinioni vengono solo a rafforzare le rappresentazioni dominanti delle élite occidentali.
Un certo numero di organizzazioni ha avuto un impatto significativo nella diffusione delle rappresentazioni americane dopo l’11 settembre. Tra queste strutture, trovamo al primo rango Project Syndicate, un’associazione creata e finanziata dalla Fondazione Soros e con sede nella Repubblica ceca. Quest’associazione senza scopo di lucro si presenta come una struttura desideroso di aiutare lo sviluppo di una stampa «democratica» nel mondo intero e fornisce cortesemente degli articoli di « teste pensanti» a 288 giornali in 115 paesi. Lavorando con un numero importante di di ex ministri, di ex capi di Stati e di esperti mediatici. Questa struttura serve soprattutto da propagatore mondiale del pensiero dominante, influenzando con la ripetizione dei testi e con la loro ampia diffusione, le rappresentazioni degli individui. Project Syndicate non è la sola a fare questo lavoro, ma tale organizzazione è senza dubbio la più efficace. Anche strutture come, ad esempio, New York Times Syndicate o Tribune Media Services International hanno una grande eco.
Come mostrato dalla rubrica Tribunes et décryptage del Réseau Voltaire, queste strutture permettono ad una sola tribuna o ad un piccolo gruppo di tribune di disporre dell’essenziale del legittimo diritto all’analisi sui media dominanti, facendo delle loro argomentazioni le sole analisi possibili e dei loro autori delle figure mediatiche legittimate dal solo fatto della loro aura mediatica. È così che, ad esempio, l’oppositore egiziano Saad Edin Ibrahim, espero di Project Syndicate e dell’agenzia di pubbliche relazioni Benador Associates, per ogni avvenimento che riguarda l’Egitto, vede i suoi commenti ed analisi occupare una quindicina di testate della stampa quotidiana internazionale. Questa onnipresenza mediatica fa molto bene al suo prestigio e rafforza la sua legittimazione ad esprimersi su quell’argomento. L’autore beneficia di un circolo virtuoso (almeno per lui) : è legittimato nelle sue analisi perché tutti lo citano e tutti lo citano perché è legittimato… e la sua analisi adotta perfettamente le rappresentazioni che stanno al cuore dell’ideologia della «guerra al terrorismo».
Giocando in pieno la carta della legittimazione incrociata e della consacrazione mediatica, le reti di esperti si legittimano tra loro « dibattendo » e « confrontandosi » su tutti i media del globo, citandosi tra loro, vantando i loro lavori gli uni con gli altri, assicurandosi così, contemporaneamente, la loro legittimità e quella delle idee che diffondono.
Nuovi media per un nuovo dibattito
Oggi, la guerra al terrorismo ha le sue rappresentazioni e le sue figure autorevoli o i suoi saggi installati sulla quasi totalità dei media dominanti. Eppure, malgrado la forza di quel discorso, si constata che il 42 % degli Statunitensi ritiene che si sia loro mentito sull’11 settembre, benché nessun media di massa rimetta in discussione la versione ufficiale degli attentati. In Francia, la stampa atlantista subisce un calo nelle sue vendite, mentre la stampa che si rivendica appartenente ad un pensiero alternativo (sia giustificata o meno questa etichetta) vede progredire le sue vendite o, quando si tratta di internet, i suoi contatti si sviluppano.
Sebbene i media dominanti restino la prima fonte d’informazione della popolazione occidentale, essi sono in crisi e subiscono il contraccolpo del loro partito preso ideologico anche se le loro rappresentazioni rimangono pregnanti. I media che rivendicano un punto di vista differente, restano sfortunatamente anch’essi per la maggior parte prigionieri delle rappresentazioni dominanti, quando non sono puramente e semplicemente delle filiali dei media dominanti adattate, in risposta ad esigenze di marketing, alla parte di popolazione che rifiuta la stampa accondiscendente. La maggior parte dei media «alternativi» si accontenta anch’essa di rimettere in discussione le politiche proposte dalle élite, senza combattere frontalmente le rappresentazioni dominanti. Quanti giornali che si pretendono trasgressivi si accontentano di cercare altri metodi per combattere il terrorismo oppure si lamentano del grave pericolo costituito dall’ « islamismo », percepito sempre come la più grave minaccia globale, o raccomandano, in stile coloniale “soft”, di prendere per mano , i paesi emergenti …
Per trasformare concretamente il panorama politico internazionale, conviene opporsi frontalmente all’ideologia e alle rappresentazioni dell’11 settembre. A questo fine, bisogna decifrarlo, contestarne i fondamenti e fornire un altro punto di vista. Mettere al centro dei nuovi media la pluralità delle opinioni e degli approcci alle questioni internazionali che, al momento non hanno diritto di cittadinanza sui media dominanti. Se fare dei media «differenti» consiste semplicemente nel rispondere in modo diverso alle domande che emergono « naturalmente » dalle rappresentazioni dominanti, allora si accreditano e si convalidano quelle domande e quelle rappresentazioni che le sottendono.
Per cambiare le rappresentazioni dominanti, bisogna dare la parola agli analisti o anche ai semplici cittadini che sviluppano una valutazione differente o che, con la semplice espressione della loro esperienza quotidiana, possono rimettere in discussione i fondamenti dell’ideologia della « guerra al terrorismo ». Il Réseau Voltaire, con la sua rete di stampa e la sua apertura internazionale, ha il potenziale per dare eco a quelle opinioni. Possiamo contribuire a cambiare le problematiche distorte dell’attuale dibattito internazionale.
Per questo, occorrerà mobilitare le personalità di tutti gli orizzonti che hanno svolto delle analisi originali sulle grandi questioni attuali, restituire il suo vero significato alla parola «dibattito» e dare ai suoi punti di vista un’eco importante, attraverso il nostro sito, poi tramite una rete di stampa internazionale. In breve, far esplodere le basi del dibattito tradizionale diffuso dai media dominanti, giustapponendo alle grandi reti di comunicazioni e di propaganda una contro-rete il cui obiettivo deve essere la costruzione di contro-rappresentazioni che permettano di scalzare le fondamenta del programma coloniale della « guerra al terrorismo ».
Restate in contatto
Seguiteci sui social network
Subscribe to weekly newsletter