Dopo aver teso la mano ai musulmani (sempre tentando di destabilizzare l’Iran), dopo avec
teso la mano ai Russi, (sempre continuando a preparare, in Europa dell’Est, l’impianto
dei missili puntati sopra di loro), il presidente Obama tende la mano agli Africani.
Ovunque, egli propone di rifondare le relazioni con gli Stati-Uniti senza pagare il soldo
dei crimini del passato. Manlio Dinucci rivela cio’ che nasconde quella impovvisa
sollecitudine.
* Terminato il G8 col tema «Africa e sicurezza alimentare», il presidente Barack Obama è partito per Accra, capitale del Ghana, dove oggi pronuncia un discorso basato sul concetto che gli africani sono responsabili per l’Africa e vanno aiutati a sviluppare le proprie capacità economiche assicurando la democrazia [1]. Non arriva a mani vuote: è stato lui, dicono alla Casa Bianca, a convincere il G8 a dare 20 miliardi di dollari, distribuiti in tre anni, per la «sicurezza alimentare» nel mondo.
I «Grandi della Terra» e gli aspiranti tali si presentano così come benefattori, destinando alla lotta contro la fame in un anno quanto spendono in armi ed eserciti in due giorni. I paesi del G8 allargato totalizzano infatti oltre l’80 per cento della spesa militare mondiale, che ha superato i 1500 miliardi di dollari annui, di cui quasi la metà è costituita dalla spesa Usa.
Non c’è quindi da stupirsi se, anche in Africa, gli Stati uniti hanno basato la loro politica sullo strumento militare. L’amministrazione Bush ha creato un comando specifico per il continente, il Comando Africa (AfriCom) [2], che ha in Italia due sottocomandi: lo U.S. Army Africa, il cui quartier generale è alla Caserma Ederle di Vicenza, e il comando delle forze navali AfriCom, situato a Napoli. Il quartier generale di Vicenza opera nel continente africano con «piccoli gruppi», ma è pronto a operazioni di «risposta alle crisi» con la 173a brigata aviotrasportata. Il comando di Napoli si occupa delle operazioni navali: tra queste l’«Africa Partnership Station», consistente nella dislocazione di navi da guerra lungo le coste dell’Africa occidentale, con a bordo personale anche di altri paesi, compresi ufficiali italiani. Attraverso programmi di addestramento ed esercitazioni, l’AfriCom fa leva sulle élite militari per portare il maggior numero di paesi africani nella sfera d’influenza statunitense.
Importante, in tale quadro, è il ruolo del Ghana. I suoi ufficiali si sono formati nel Centro di studi strategici per l’Africa, istituito dal Pentagono, e in vari programmi dello U.S. Army, in particolare l’Acota, attraverso cui sono stati addestrati 50mila soldati e istruttori africani. L’esercito e la marina Usa hanno avuto anche accesso alle basi militari e ai porti del paese. Il Ghana contribuisce così alla «sicurezza» del Golfo di Guinea, da cui proviene una parte crescente del petrolio importato dagli Usa (il 15%, che dovrebbe salire al 25% nel 2015). Allo stesso tempo, le forze armate del Ghana vengono usate per operazioni di «peacekeeping» non solo nel Darfur [3], in Congo e altri paesi africani, ma anche in Libano, Kosovo e perfino in Georgia. È cresciuta di pari passo la presenza economica Usa in Ghana, dove però è forte la concorrenza cinese. Come documenta il Dipartimento di stato, la scoperta di grosse riserve petrolifere nei fondali ha attratto in Ghana molte compagnie Usa, mentre altre operano nei settori minerario e agricolo. Il paese è ricco di oro, diamanti, bauxite, manganese, di cui è uno dei maggiori esportatori. E’ anche uno dei principali esportatori di cacao, prodotto da un milione e mezzo di piccole e medie aziende agricole. L’agricoltura non assicura però l’autosufficienza alimentare. E poiché lo sfruttamento delle ricche risorse del paese è controllato dalle multinazionali, la bilancia commerciale del Ghana è in forte perdita. Dirà Obama, nel suo discorso, come riequilibrarla?
[1] « Entretien du président Obama avec AllAfrica.com », Réseau Voltaire, 2 juillet 2009.
[2] « Africom: Control militar de EEUU sobre la riqueza de África », por Bryant Hunt, Red Voltaire, 1 de Abril de 2008. « Triste activation pour l’AfriCom », par Stefano Liberti, Réseau Voltaire, 6 octobre 2008.
[3] « Africom’s Covert War in Sudan », by Keith Harmon Snow, Voltaire Network, 11th march 2009.
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