Completamente dissimulata dai media, la NATO si trova al centro dell’aggressione israeliana in alto mare come anche dell’indietreggiamento israeliano nei riguardi dei sequestri. In questo articolo, scritto appena prima che l’Alleanza esigesse la liberazione dei prigionieri e delle navi, Manlio Dinucci osserva che, tenuto conto dei legami stretti fra le forze israeliane e la NATO, è impossibile pensare che quest’ultima non fosse stata previamente informata dell’operazione.
«Dialogo mediterraneo»: così si chiama l’operazione Nato, cui partecipano le marine militari di sette paesi non-membri dell’alleanza, per «contribuire alla sicurezza e stabilità della regione». Quella che dà il maggior contributo è la marina i-sraeliana, la stessa che ha fatto strage di pacifisti con un at-tacco di marca terroristica in acque internazionali. La marina, come le altre forze armate israeliane, sono sempre più inte-grate nella Nato: lo scorso novembre, durante la visita dell’ammiraglio Di Paola, presidente del Comitato militare alleato, è stato stabilito che entro quest’anno una unità missi-listica israeliana parteciperà anche all’operazione Nato «Ac-tive Endeavor», la cui missione è «proteggere il Mediterra-neo contro le attività terroristiche».
Queste e altre operazioni congiunte si inquadrano nel «Pro-gramma di cooperazione individuale» con Israele, ratificato dalla Nato il 2 dicembre 2008, circa tre settimane prima dell’attacco israeliano a Gaza. Esso comprende una vasta gamma di settori in cui «Nato e Israele cooperano pienamen-te»: controterrorismo, tra cui scambio di informazioni tra i servizi di intelligence; connessione di Israele al sistema elet-tronico Nato; cooperazione nel settore degli armamenti; au-mento delle esercitazioni militari congiunte; allargamento della cooperazione contro la proliferazione nucleare (igno-rando che Israele, unica potenza nucleare della regione, rifiu-ta di firmare il Trattato di non-proliferazione ed ha appena re-spinto la proposta Onu di una conferenza per la denucleariz-zazione del Medio Oriente). Non è quindi credibile che la Na-to, in particolare gli Stati uniti che ne detengono il comando, fossero all’oscuro che l’operazione navale israeliana preve-deva di aprire comunque il fuoco contro i pacifisti.
Ipocrita appare dunque il «profondo rincrescimento per la perdita di vite umane» espresso dalla Casa Bianca, la quale assicura di voler «capire le circostanze che circondano questa tragedia». Dello stesso tono la dichiarazione del ministro de-gli esteri Frattini che «Israele deve dare spiegazioni alla co-munità internazionale». Spieghi intanto Frattini a che punto è la cooperazione militare Italia-Israele, stabilita dalla Legge 17 maggio 2005 n. 94, di cui lo stesso Frattini è il principale artefice. La cooperazione tra i ministeri della difesa e le forze armate dei due paesi riguarda l’importazione, esportazione e transito di materiali militari, l’organizzazione delle forze ar-mate, la formazione/addestramento. Sono previste a tale sco-po riunioni dei ministri della difesa e dei comandanti in capo dei due paesi, scambio di esperienze fra gli esperti, organiz-zazione delle attività di addestramento e delle esercitazioni. In tale quadro, nel 2005, la marina militare italiana guidò la flotta che svolse nel Mar Rosso la prima esercitazione navale congiunta Nato-Israele. Chissà se, in quell’occasione, si eser-citarono ad assaltare anche le navi disarmate dei pacifisti.
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