Fin dall’inizio dell’attacco dell’Emirato islamico in Iraq a giugno, non solo il prezzo del petrolio non sale, ma è sceso di quasi il 25%, da 115 dollari al barile a 83,78.
Il ministro del Petrolio venezuelano Rafael Ramirez ha pubblicamente denunciato una manipolazione chiaramente estranea alla realtà del mercato internazionale.
La maggior parte degli esperti accusa l’Arabia Saudita, mentre gli esperti del regno parlano apertamente di abbattere il prezzo a 80 dollari al barile.
Il governatore della banca centrale russa, Elvira S. Nabjullina, ha detto alla Duma di prepararsi a un declino prolungato del prezzo del greggio fino a 60 dollari al barile.
Se i Paesi esportatori come la Russia hanno notevoli riserve valutarie, altri come il Venezuela si preparano ad affrontare una grave crisi economica. Sono direttamente interessati: Iraq (in guerra), Iran (ancora sotto sanzioni), Nigeria (sotto elezioni presidenziali), Nicaragua, Bolivia e Cuba (riforniti a basso prezzo dal Venezuela).
Infine gli Stati Uniti ne soffrirebbero, essendo il dollaro sostenuto dal mercato mondiale del petrolio.
Attualmente è difficile interpretare tale calo che sfida ogni probabilità. Due fattori devono essere considerati:
– I BRICS tentano di compare il petrolio non in dollari, ma in valute nazionali;
– La guerra della coalizione statunitense contro l’Emirato islamico, con il pretesto della lotta al terrorismo, è un modo per distruggere le installazioni petrolifere in Iraq e Siria.
Il calo dei prezzi del petrolio cambia la redditività di molte attività economiche (ad esempio, le fonti di energia alternative diventano insostenibili, mentre la maggior parte delle sostanze chimiche diventa a buon mercato).
Traduzione di Alessandro Lattanzio
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