Una vigorosa polemica si sviluppa negli Stati Uniti a proposito della natura e dell’intensità delle relazioni tra Washington e Tel-Aviv. Daniel Rey ci offre un punto di vista alternativo sull’estensione di tale diatriba che ha coinvolto diversi intellettuali e alcuni mezzi di informazione. Pubblicato mesi or sono in America Latina, il dibattito ha suscitato grande clamore, giungendo poi anche in Europa.
L’invasione dell’Iraq da parte della coalizione anglosassone ha inevitabilmente aperto un dibattito circa le relazioni che la parte cosiddetta "occidentale" intrattiene con Israele. Sembra, in effetti, che questa guerra sia inutilmente costosa non solo per gli Stati Uniti, ma anche per il Regno Unito, mentre soddisfa gli obiettivi sionisti di sempre, esposti nella Dichiarazione di Biltmore del 1943. Numerosi autori statunitensi si sono quindi interrogati sulla natura e l’intensità dell’ascendente di Tel Aviv su Washington, mentre i loro omologhi britannici lo hanno fatto sul servilismo di Londra rispetto a Washington.
Oggi il dibattito si allarga abbracciando un nodo fondamentale che riguarda l’imperialismo statunitense: Israele viene utilizzato come mercenario o viceversa sono gli Stati Uniti ad obbedirgli? Da allora grandi intellettuali del calibro di John Marsheimer e Stephen Walt di Harvard si impegnano costantemente a studiare la lobby sionista negli Stati Uniti; un argomento fino ad allora ignorato nei contesti universitari. Allo stesso tempo scopriamo i limiti delle spiegazioni forniteci sull’imperialismo americano, fino ad oggi considerate come assolutamente certe e sufficienti. Giungiamo dunque alla riflessione di Jeff Blankfort, il quale evidenzia un punto morto all’interno del pensiero di Noam Chomsky : durante trent’anni, l’intellettuale americano ha sistematicamente minimizzato le colpe degli israeliani rigettando le responsabilità interamente sulle spalle dell’imperialismo statunitense.
Ecco dunque che il dibattito viene affrontato anche da Le Monde diplomatique. Il mensile francese sembra scosso dalle turbolenze che agitano la diplomazia del suo paese. A seconda dei giorni, Parigi proclama la sua indipendenza basata sul sistema gaullista e critica, financo dinnanzi al Consiglio di sicurezza dell’ ONU, l’imperialismo americano, oppure, con altrettanta veemenza, giura fedeltà alla NATO dando man forte allo zio Sam per destituire un presidente in Georgia o eliminarne un altro ad Haiti e minacciandone un terzo in Siria. Le contraddizioni diventano poi insostenibili allorché si parli di Israele. Così la Francia si dissocia idealmente dalla NATO e dall’ Unione Europea, al fine di sostenere il popolo palestinese e il suo governo eletto, formato da Hamas, rifiutando però, al medesimo tempo, i visti di ingresso ai membri di quel governo legittimamente eletto. Molti gridano (a torto) allo scandalo e ritengono ipocrita un tale comportamento. In realtà non esiste più né una diplomazia, né tanto meno un governo francese (corsivo del trad.). Ce ne sono invece due: i gaullisti di Jacques Chirac e Dominique de Villepin e gli atlantico-sionisti di Nicolas Sarkozy. Lo scontro si infiamma sullo sfondo di denunce calunniose e di perquisizioni di alcuni gabinetti ministeriali.
In questo contesto, alcuni membri dell’ associazione degli Amici de Monde diplomatique scoprono che la linea editoriale del mensile possiede gli stessi limiti del pensiero di Noam Chomsky: "Non toccate il sionismo!". Hanno pubblicamente denunciato la situazione, provocando una crisi lungi dall’essere risolta. La direzione ha risposto, anch’essa pubblicamente, professando a gran voce la sua fede anti-imperialista, provocando nei lettori un estasiato entusiasmo. Tuttavia tale reazione è intaccata dal dualismo dell’impegno politico dei suoi redattori, del tutto identico a quello che ritroviamo nella diplomazia francese.
Una stupefacente sfuriata ha disperso l’assemblea generale 2005 degli Amici de Monde diplomatique: qualcuno ha violentemente ripreso un’amministratrice di cultura musulmana che portava uno scialle sulla testa, il quale avrebbe rappresentato una manifestazione di proselitismo islamico. I dirigenti del giornale hanno lasciato che la donna fosse insultata senza intervenire, concludendo, poi, di deplorare il fatto di essersi trovati in una simile situazione. Successivamente la direzione ha proibito all’associazione degli Amici di organizzare riunioni-discussioni a proposito dell’11 settembre o del sionismo. Poi, ancora, le misure prese a scapito dei contravventori che avevano invitato Alain Ménargue, vecchio direttore dell’ informazione di Radio France International, nella prospettiva di attribuirgli il premio di Monde diplomatique per il suo libro, critico nei confronti del muro di Sharon. La crisi ha poi raggiunto la sua fase parossistica con la pubblicazione, in luglio, di un articolo di fuoco di Edward Said. Il testo dell’universitario palestinese, presentato come integrale, aveva invece subito dei tagli, essendo state amputate le frasi che criticavano la soluzione dei due Stati e gli accordi di Oslo. Dopo aver censurato gli interventi di alcune persone, dopo aver interdetto determinati argomenti, la direzione del giornale falsificava i propositi di uno tra i suoi più celebri autori .
Per giustificarsi, la direzione del giornale assicura che questi fatti non rappresentano altro che semplici bisticci tra persone e che la sua posizione politica non è mai cambiata: "Siamo ancora convinti partigiani di una pace in Medio Oriente che si fondi sulla creazione di uno Stato palestinese indipendente e saldo, con Gerusalemme Est come capitale e che viva fianco a fianco con lo Stato d’ Israele in un contesto di sicurezza garantita". Ma i tempi sono cambiati. Questa risposta chomskyana non basta più. All’interno della stessa redazione, alcuni sottolineano il fatto che per i progressisti, la questione principale è l’affermazione dell’ uguaglianza umana e della lotta contro qualsivoglia forma di apartheid. Così come non potevano ammettere la persistenza del regime afrikaneer in Sud Africa accanto a bantustan indipendenti, non possono sostenere il mantenimento del regime sionista accanto a uno o due bantustan palestinesi.
Per chiudere il dibattito, la direzione di Monde diplomatique incalza un secondo argomento: il mensile sostiene le rivoluzioni latinoamericane e il suo redattore capo, Ignacio Ramonet, ha appena pubblicato un libro-intervista con Fidel Castro. Ancora una volta i tempi son cambiati e la risposta non è più sufficiente. Accordando un’intervista a Monde diplomatique, Fidel Castro non gli ha decretato brevetti rivoluzionari più di quanto abbia fatto rispondendo alle domande di Larry King su CNN. A meno che non si dica che Fidel Castro sia un dittatore che risponda solo a giornalisti del suo ceppo. E questa è la posizione dell’associazione Reporters sans frontiers (Rsf) dopo aver firmato un contratto di finanziamento con Otto Reich (organizzatore in seno all’amministrazione Bush del tentativo di colpo di stato contro il presidente venezuelano Hugo Chavez) [sottosegretario di Stato statunitense, n.d.t.] e che inoltre riceve dei «prestiti» non rimborsati dalla NED/CIA, l’agenzia d’ingerenza degli Stati Uniti. Più precisamente il vicepresidente di Rsf, Daniel Junqua, somma le sue funzioni con quella di vicepresidente degli Amici di Monde diplomatique.
Specchio perfetto delle diplomazie francesi, "Monde diplomatique" ha sostenuto, senza riserva alcuna, la rivoluzione bolivariana di Hugo Chavez, lasciando alla sua sorte Jean-Bertrand Aristide [presidente haitiano democraticamente eletto nel 1991 con il 67% e deposto da una giunta militare, n.d.t.] nel momento in cui Parigi ha deciso di consegnarlo a Washington. Uno dei collaboratori e amministratori, Christophe Wargny, ha sconfessato la sua antica funzione di consigliere dello stesso Aristide, sostenendo il suo prelievo da parte dei marines statunitensi. Ancora più significativo: il mensile ha organizzato una grande festa in occasione del suo cinquantesimo anniversario, nel maggio del 2004. Uno tra i suoi ospiti più prestigiosi era il filosofo Régis Debray. Ora, secondo la versione di Jean-Bertrand Aristide, fu lo stesso Régis Debray che minacciò di destituirlo se non si fosse dimesso e che supervisionò l’aiuto francese all’intervento militare statunitense per rovesciarlo. E poiché, senza alcun dubbio, Israele è un buon rivelatore, Régis Debray e la direzione di Monde diplomatique non mancarono l’occasione fornita da questa festa per lanciare la seguente proposta: trasferire il seggio dell’ ONU nella città santa di Gerusalemme! Un’idea alquanto bislacca che, oltre ad associare la ricerca della pace con le uniche religioni del Libro, renderebbe definitivamente impossibile ai palestinesi il ritorno nelle loro case.
I francesi amano le controversie eccessive, ma questi sconquassi non sono senza conseguenze : la diffusione del mensile nelle edicole ha subito, in due anni, un calo del 25% nel loro paese. Essi bruciano ciò che hanno lungamente adorato e non tarderanno a rigettare le opere di Noam Chomsky. Più saggiamente, noi terremo i nostri vecchi libri e le riviste nel mezzo di altre documentazioni, pur come sempre consci dei loro limiti.
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Gabriel Tibaldi
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