Se l’abbassamento del dollaro non intacca l’economia degli Stati Uniti, che stampano dollari più del necessario, senza alcun rapporto con la loro produzione interna, ne’ considerazione del loro debito pubblico, questo non vale per i paesi “dollarizzati” dell’America Latina. Perciò, è nella più grande discrezione che uno Stato come il Cile ha deciso di emanare i suoi buoni del Tesoro in euro, o che Cuba abbia deciso di convertire integralmente la sua moneta di cambio in euro.
Inesorabilmente, il dollaro cessa di essere la moneta di riferimento mondiale.
Nuovo record storico dell’euro
L’euro, la valuta comune dell’area Euro, oggi ha stabilito un nuovo record storico a 1,3484 dollari per un euro, a qualche giorno dall’anniversario dei suoi 6 anni dalla sua creazione.
La divisa, che è diventata una alternativa credibile al dollaro, è ripartita al rialzo durante il periodo delle feste di fine anno, in un periodo in cui si prevedono scarse variazioni monetarie al rialzo in ragione del fatto che è debole il volume delle operazioni.
La recente pubblicazione dei dati macro-economici positivi per gli Stati Uniti non ha potuto frenare l’andamento positivo della moneta unica, che in definitiva vola per la debolezza del dollaro, determinata dal disavanzo fiscale abissale e dai conti correnti degli Stati Uniti.
Il deprezzamento del dollaro fa vacillare le « economie emergenti » dell’America Latina, che dipendono dall’egemonia americana e dal modello pseudo-liberale, ed è così che praticamente tutti i paesi vengono coinvolti. La crisi strutturale che annuncia il crollo del sistema monetario in vigore dopo gli « accordi di Bretton Woods » nell’immediato dopo-guerra è totalmente oscurata dalla maggior parte dei grandi media nazionali dei paesi di quell’area.
Il Consiglio dei ministri della Colombia ha deciso, il 21 dicembre 2004, un rimborso di imposte a quegli esportatori che hanno patito perdite dopo la caduta del dollaro del 17% rispetto al peso Colombiano durante il corso dell’anno. L’idea principale è stata di acquistare dollari per rivalutarne il prezzo sul mercato finanziario locale, azionare dei “piani sociali” e introdurre delle ristrutturazioni. Il presidente Alvaro prendeva in considerazione di fissare per decreto il tasso di cambio per assicurarsi che la sua valuta rimanga debole, favorendo così le esportazioni a discapito dei salari.
L’economista Pablo Rosselli, di Tea Deloitte & Touche, assicurava che “dopo il mese di maggio, il corso del dollaro in Brasile è andato in caduta in maniera interrotta, per situarsi, dopo la discesa registrata in questi ultimi giorni, ai livelli più deboli dopo il giugno 2002 (...). Se noi prendiamo come riferimento la chiusura di ieri (21 dicembre 2004), il rapporto di cambio riflette una caduta del 17% nel corso degli ultimi sette mesi”.
In Cile, nel primo semestre le imprese esportatrici hanno comunicato i loro timori, ma nessuno ha voluto ascoltare e capire. Tuttavia si sono rapidamente defilate, visto che per quest’anno i profitti del settore si sono rivelati spettacolari, in ragione della particolare azione del Presidente che, fra le altre cose, ha ottenuto l’accesso ai mercati Statunitensi ed Europei. Il governo di Ricardo Lagos ha iniziato discretamente a compilare sui mercati internazionali i buoni del Tesoro del Cile in euro piuttosto che in dollari; un’informazione passata sotto silenzio dalla grande stampa locale.
I paesi dell’OPEP, dopo due anni, hanno preso in considerazione il passaggio all’euro. Il solo paese latino-americano che quest’anno ha preso una radicale decisione è stato Cuba, che ha adottato esclusivamente l’euro e ha visto le sue esportazioni aumentare del 37% nel 2004.
Il mercato monetario internazionale è tanto severo quanto i mercati locali. Le banche centrali acquistano dollari, disperatamente, con la speranza inutile di frenare una crisi che è cominciata ben al di là delle proprie frontiere, una dinamica che non è imputabile alla Riserva Federale, tanto meno al governo di Washington, ma alle economie che, in un ultimo sforzo, sostengono il déficit commerciale abissale degli Stati Uniti, vale a dire : la Cina, la Corea del Sud, il Giappone, il Sud-Est Asiatico, l’India, l’Europa, ecc…
Il dollaro è diventato una « tigre di carta » che vive a credito e dipende dal ricatto che esercita sui paesi « schiavi », in quanto detentori di buoni del Tesoro USA. [1] Infatti, se essi vendessero massicciamente i titoli, anche le loro economie andrebbero ugualmente a fondo. Washington scommette che nessuno vuole correre questo rischio di hara-kiri monetario.
Ci si avvicina, ogni giorno di più, al crollo pronosticato per l’anno 2005 dal giornalista economico William Engdhal. Nello stesso modo che il dollaro ha soppiantato la Lira Sterlina nella prima metà del secolo scorso, oggi assistiamo alla rivincita Europea dell’Euro, la futura moneta mondiale, la cui quotazione, in poco più di un anno è passata da 0.80 a 1.30 dollari per euro, cioè si è avuto un apprezzamento più del 60%, e il movimento non cessa di amplificarsi.
Nel corso degli ultimi nove mesi, il dollaro ha perso un quarto del suo valore rispetto all’euro. Fra gli altri effetti, questo significa che le riserve delle banche centrali hanno visto ridursi del 75 % il loro valore iniziale, e che i paesi detentori di titoli di Stato degli USA, come la Cina e la Corea del Sud, rischiano sempre più nel possedere solo fogli volgari di carta, che recano danno e mettono in pericolo le loro economie. D’altronde, questo significa anche che una risorsa naturale non rinnovabile che nominalmente vale, ad esempio, quaranta dollari, realmente ne vale trenta, e questo con riferimento al petrolio!
Lo scenario di un più che probabile crollo è delineato dalla politica condotta dagli Stati Uniti [2]. La conquista dell’Iraq, in vista di mettere le mani sulle sue risorse petrolifere, non produce sic et simpliciter i profitti che venivano attesi da eminenti “intellettuali” del calibro di George W. Bush e Donald Rumsfeld. Tutto il contrario, il déficit di bilancio aumenta in quanto le guerre sono finanziate dal déficit che, in contraccambio, alimenta la macchina economica. Il sangue versato si trasforma in biglietti verdi [3].
Il governo repubblicano pone le sue entrate sulle spalle delle classi medie e basse della popolazione, diminuendo di molto le imposte dei più ricchi, in modo che lo Stato continua a spendere molto di più di quello che incassa. E Bush non dimostra l’intenzione di cambiare la sua politica fiscale. Tutt’al più, procederà ad aggiustamenti che del resto potrebbero rallentare il recupero precario della sua economia. Di conseguenza, è più che garantito un aumento dell’indebitamento. Le sorti del dollaro sono già segnate: “una caduta ineluttabile!”.
Ma la grande questione resta il sapere perché il governo degli USA non prende alcuna seria misura per impedire il crollo della sua moneta. Semplicemente perché tenta di trarne dei profitti: alleggerisce così in modo indefinito il peso del suo debito, in quello che è giusto qualificare come un grande imbroglio universale.
L’irresponsabilità di questa nazione bellicosa coinvolge anche l’Europa nella sua caduta, malgrado la buona tenuta dell’euro, precisamente in quanto le economie sono globalizzate ed interconnesse.
Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova.
[1] « Il dollaro, tallone di Achille degli USA », Voltaire, 4 aprile 2003.
[2] « La guerra come sola alternativa alla crisi economica », Voltaire, 8 gennaio 2004.
[3] « L’economia della guerra in Iraq » di Arthur Lepic, Voltaire, 24 novembre 2004.
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