Il premier Monti ha celebrato la giornata delle forze armate con una visita «a sorpresa» in Afghanistan. Ai militari italiani a Herat ha ribadito che «non siete l’espressione di una nazione in guerra: siamo qui per assicurare a questo paese sicurezza, stabilità e prosperità». Ha quindi incontrato il premier Karzai, assicurandolo che l’Italia, come gli altri paesi, «trasformerà il suo supporto, ma questo non significa lasciare il paese da solo».
Lo garantisce l’Accordo di partenariato firmato a Roma il 26 gennaio da Monti e Karzai. Per la realizzazione di «infrastrutture strategiche» nella provincia di Herat, l’Italia concede al governo afghano un credito agevolato di 150 milioni di euro (mentre L’Aquila e altre zone disastrate non hanno i soldi per ricostruire). Si prevedono investimenti italiani anche nel settore minerario afghano (mentre chiudono le miniere in Sardegna) e a sostegno delle piccole e medie imprese afghane (mentre quelle italiane falliscono). Oltre agli impegni previsti dall’accordo, vi sono quelli assunti dall’Italia nel quadro Nato. Dopo aver speso nella guerra in Afghanistan 650 miliardi di dollari, gli Usa hanno impegnato gli alleati a contribuire alla formazione delle «forze di sicurezza afghane», già costata circa 60 miliardi di dollari, e al «fondo per la ricosrtruzione», già costato circa 20 miliardi.
Dove finisce questo fiume di denaro?
In gran parte nelle tasche della famiglia estesa di Hamid Karzai, il partner ricevuto al Quirinale, con tutti gli onori, dal presidente Napolitano. Gli affari di famiglia, in parte già noti, sono venuti a galla in un’inchiesta del New York Times.
I fratelli del presidente e altri familiari, molti dei quali hanno cittadinanza Usa, si sono arricchiti con i miliardi della Nato (usciti anche dalle nostre tasche), gli affari sottobanco con compagnie straniere, gli appalti truccati, il traffico di droga. Per accaparrarseli, si è scatenata tra i fratelli una lotta al coltello. Mentre Qayum Karzai si prepara a subentrare al fratello Hamid come presidente, un altro fratello, Ahmed Wali Karzai, boss dell’Afghanistan meridionale, è stato assassinato. Grazie alla corruzione e al traffico di droga, aveva accumulato centinaia di milioni di dollari trasferendoli a Dubai. Al suo posto il presidente Karzai ha nominato un altro fratello, Shah Wali Karzai, manager della società Afco di proprietà del fratello Mahmoud Karzai: un palazzinaro che, dopo aver messo le mani su 40 km2 di terreni demaniali, sta costruendo a Kandahar migliaia di case per gli afghani benestanti. Mahmoud è anche un abile banchiere: nel 2010 è riuscito a sottrarre 900 milioni di dollari alla maggiore banca del paese, trasferendoli su un proprio conto a Dubai. Una volta al potere, Shah Wali ha rotto col fratello Mahmoud (contro cui è stato ordito un complotto per assassinarlo): ha creato una propria società, alla quale ha trasferito sottobanco 55 milioni di dollari provenienti dalla Banca per lo sviluppo edilizio.
Con questa controparte il governo Monti ha stipulato l’Accordo di partenariato, approvato il 6 settembre dalla Camera a schiacciante maggioranza (396 contro 8) e il 30 ottobre dal Senato all’unanimità. In base alla solenne dichiarazione che le due parti hanno «interessi condivisi e obiettivi comuni».
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