Mosca subisce la guerra economica della NATO e il calo dei prezzi del petrolio, dinamiche che prosperano nel contesto internazionale caratterizzato da crescenti rivalità geopolitiche e una tendenza generale alla deflazione globale; il declino del rublo di oltre il 40 per cento rispetto al dollaro ha allarmato la Cina, potenza pronta a intervenire in sostegno della Russia contro l’offensiva imperiale degli Stati Uniti e dei loro alleati europei.
La terza settimana di dicembre, dopo che il rublo ha subito il peggior calo dalla crisi valutaria del 1998, il governo cinese ha immediatamente espresso solidarietà al Cremlino: “Se i russi ne hanno bisogno, forniremo l’assistenza necessaria secondo le nostre risorse”, ha detto il ministro degli Esteri cinese Wang Yi [1]. La dichiarazione della Cina era indotta soprattutto dal fatto di essere il primo partner commerciale e quarto maggiore investitore di Mosca. Chiaramente c’è dell’ansia tra le élite di Pechino sull’eventuale peggioramento della realtà economica russa.
Lo scorso anno, il rublo è sceso del 41 per cento nei confronti del dollaro e del 34 per cento rispetto all’euro, soprattutto per la diminuzione costante dei prezzi del petrolio negli ultimi sette mesi e per le sanzioni di Unione europea e Stati Uniti dopo gli eventi in Crimea. Nel 2014 i deflussi dei portafoglio d’investimento hanno raggiunto i 130 miliardi di dollari. La banca centrale russa ha speso circa 100 miliardi di dollari in difesa della moneta, un importo pari a un quarto delle riserve.
D’altra parte, la decisione di aumentare al 17 per cento il tasso d’interesse di riferimento per frenare la destabilizzazione della moneta, potrebbe aprire la via a un forte calo del credito e degli investimenti a livello nazionale e quindi aumentare i rischi di una recessione prolungata. Le stesse autorità russe avvertono della situazione economica preoccupante, dato che il PIL s’è ridotto del 0,50 per cento lo scorso novembre, il primo calo dall’ottobre 2009. L’allarme su nuovi rischi bancari è lanciato dagli analisti di Sberbank (la maggiore banca di finanziamento russa), il governo di Vladimir Putin ha annunciato piani per un’iniezione di liquidità da 1 miliardi di rubli (18,6 miliardi di dollari) e stabilire immediatamente un deposito di sicurezza per garantire il risparmio.
I leader cinesi sono ben consapevoli della grave minaccia rappresentata dal fatto di non poter contare al cento per cento su Mosca nei momenti decisivi. A differenza dei legami tra Stati Uniti e alleati dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), il rapporto tra Cina e Russia comprende non solo posizioni comuni su diverse questioni geopolitiche dell’agenda internazionale, ma anche un legame maggiore su questioni economiche e una cooperazione finanziaria emergente, componenti chiave che accelerano la costruzione di un sistema monetario multipolare.
Sebbene è anche certo che se il dollaro mantiene la posizione di valuta dominante del sistema monetario internazionale, a sei anni dalla crisi globale è ormai evidente il ruolo crescente della Cina nel processo di “dedollarizzazione” dell’economia globale attraverso accordi bilaterali che promuovono l’uso delle monete nazionali nelle operazioni commerciali [2].
I rapporti della Cina con la Federazione russa rientrano nella stessa dinamica. Il currency swap da versare in tre anni, approvato ad ottobre, è finalmente entrato in funzione dal 29 dicembre 2014 per un importo pari a 25 miliardi di dollari (150 miliardi di yuan) [3]. Guardando al rafforzamento del dollaro nei confronti delle valute dei Paesi emergenti, negli ultimi mesi, con la maggiore incertezza sui mercati finanziari, il contratto swap è volto a ridurre i rischi di cambio su flussi commerciali e investimenti bilaterali. Ogni volta che il commercio tra UE e Russia diminuirà nei prossimi anni, il commercio tra Cina e Russia aumenterà e, allo stesso tempo, l’abbandono del dollaro avrà ulteriore impulso.
I versamenti in yuan tra i due Paesi sono aumentati di oltre l’800 per cento tra gennaio e settembre 2014. Secondo Lin Zhi, funzionario responsabile del dipartimento Europa e Asia centrale del Ministero dello Sviluppo Economico della Cina, “circa 100 banche commerciali russe aprono conti per le transazioni in yuan […] l’elenco delle banche in cui depositanti comuni possono aprire un conto in yuan è in crescita” [4].
Riguardo gli strumenti dei mercati di capitali, le operazioni denominate nella “moneta del popolo” (renminbi) nel mercato valutario di Mosca si sono moltiplicate di dieci volte in un anno. Ancora a scapito dell’egemonia del dollaro, le compagnie petrolifere russe come Gazprom, esaminano la possibilità di emettere obbligazioni in yuan da Hong Kong riducendo i costi di rifinanziamento [5].
Chiaramente è indiscutibile che il rapporto economico e geopolitico tra Cina e Russia si stringe e continua a rafforzarsi, mentre entrambe le potenze consolidano una nuovo equilibrio di potere in campo internazionale. In una certa misura, non ufficialmente, le due nazioni perseguono il consolidamento di un ambizioso piano di difesa su più fronti contro l’offensiva imperiale della NATO [6] e l’unilateralismo del sistema della Federal Reserve (Fed).
Secondo un editoriale del giornale Global Times, “come Paese confinante, la Russia svolge il ruolo indispensabile di partner strategico della Cina nella comunità internazionale” [7]. La partecipazione di maggioranza della Cina nella nuova banca di sviluppo dei BRICS (acronimo di Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) [8] e nella banca per gli investimenti per le infrastrutture asiatico (AIIB, nel suo acronimo in inglese) [9], nonché nei prestiti a Paesi di Asia, Nord Africa, Medio Oriente e America Latina, rivela da una parte l’intenzione di concorrere con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) quale “prestatore di ultima istanza”.
Dall’altra, invece, il sostegno finanziario all’Argentina nella battaglia contro i fondi avvoltoio (NML Capital, Aurelio, ecc.) e il rinnovo dei crediti a condizioni flessibili al Venezuela, per quattro miliardi di dollari nel luglio 2014, sono la prova che al di là delle considerazioni economiche, vi è l’interesse a lungo termine della Cina a rafforzare i rapporti con i suoi maggiori alleati. Ora, proprio nel momento critico dell’economia russa, c’è la grave sfida a dimostrare la propria efficacia nel salvataggio.
[1] «China foreign minister says willing to help Russia», Reuters, 21 dicembre 2014.
[2] «China: Turning away from the dollar», por James Kynge e Josh Noble, The Financial Times, 9 dicembre 2014.
[3] «Ditching US dollar: China, Russia launch financial tools in local currencies», Russia Today, 29 dicembre 2014.
[4] «Russia-China trading settlements in yuan increases 800%», Russia Today, 21 novembre 2014.
[5] «Gazprom mulls issuing bonds in offshore yuan», The BRICS Post, 26 dicembre 2014.
[6] “La NATO intende vietare a Russia e Cina di svilupparsi”, di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip (Italia), Rete Voltaire, 8 settembre 2014.
[7] «How long can Russia withstand the crisis?», Global Times, 22 dicembre 2014.
[8] “VI vertice dei BRICS: la base della nuova architettura finanziaria”, di Ariel Noyola Rodríguez, Traduzione di Alessandro Lattanzio, Rete Voltaire, 3 luglio 2014.
[9] “Da Pechino, il crepuscolo asiatico post-Bretton Woods”, di Ariel Noyola Rodríguez, Traduzione Alessandro Lattanzio, Rete Voltaire, 9 novembre 2014.
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