Disponendo d’una legittimità rafforzata dalla sua rielezione, il presidente Barack Obama si prepara a lanciare una nuova politica estera: nel trarre le conclusioni dalla relativa debolezza economica degli Stati Uniti, rinuncia a governare da solo il mondo. Le sue forze continuano la loro partenza dall’Europa e il loro ritiro parziale dal Medio Oriente, per essere posizionate intorno alla Cina. In questa prospettiva, vuole allo stesso tempo allentare l’alleanza russo-cinese in corso di formazione e condividere il fardello del Medio Oriente con la Russia.
Pertanto, è pronto ad attuare l’accordo sulla Siria, concluso il 30 giugno a Ginevra (dispiegamento di una forza di pace dell’ONU, composta in prevalenza da truppe dell’OTSC, mantenimento al potere di Bashar al-Assad se viene plebiscitato dal suo popolo). Questa nuova politica estera si scontra con forti resistenze a Washington.
A luglio, le fughe di notizie pilotate sulla stampa avevano fatto fallire l’accordo di Ginevra e avevano costretto Kofi Annan a dimettersi. Il sabotaggio sembra essere stato ordito da un gruppo di alti ufficiali superiori che non accettano la fine del loro sogno di impero globale.
In nessun momento la questione è stata evocata durante la campagna elettorale presidenziale, poiché i due candidati principali si mettevano d’accordo per collocarsi sullo stesso tornante politico mentre si opponevano soltanto sul modo di presentarlo.
Dunque Obama ha atteso la notte della sua vittoria per dare il segnale di una purga preparata con discrezione da mesi. Le dimissioni del generale David Petraeus dalle sue funzioni di Direttore della CIA sono state ampiamente pubblicizzate, ma non si trattava che dell’antipasto. Le teste di molti altri ufficiali superiori andranno a rotolare nella polvere.
La purga colpisce innanzitutto il Comandante Supremo della NATO e il comandante dell’EuCom (Ammiraglio James G. Stravidis), che termina il suo giro, e il suo previsto successore (Gen. John R. Allen). Si prosegue con l’ex comandante di AfriCom (il generale William E. Ward) e con colui che gli è succeduto da un anno in qua (il generale Carter Ham). Essa dovrebbe ugualmente liquidare il dominus dello Scudo antimissile (il generale Patrick J. O’Reilly) e altri ancora di minore importanza.
Ogni volta, gli alti ufficiali sono accusati sia di scandali sessuali sia di appropriazione indebita. La stampa USA si è saziata di sordidi dettagli sul triangolo amoroso che coinvolge Petraeus, Allen e la biografa del primo, Paula Broadwell, passando sotto silenzio che costei è tenente colonnello dei servizi segreti militari. Con ogni probabilità, è stata infiltrata nella cerchia dei due generali per farli cadere.
L’epurazione a Washington è stata preceduta, a luglio, dall’eliminazione dei responsabili esteri che si opponevano alla nuova politica ed erano stati coinvolti nella Battaglia di Damasco. Tutto è accaduto come se Obama avesse deciso di non intervenire. Si pensi, ad esempio, alla morte prematura del generale Omar Suleiman (Egitto) giunto a svolgere degli esami in un ospedale statunitense, o all’attentato contro il principe Bandar bin Sultan (Arabia Saudita), sette giorni più tardi.
Sta a Barack Obama comporre il suo nuovo governo trovando uomini e donne capaci di accettare la nuova politica. Egli fa conto soprattutto sull’ex candidato democratico alla presidenza e attuale presidente della Commissione Esteri del Senato, John Kerry. Già ora Mosca ha fatto sapere che la sua nomina sarebbe ben accolta. Soprattutto, Kerry è noto per essere «un ammiratore del presidente Bashar al-Assad» (The Washington Post) che ha spesso incontrato negli anni precedenti [1].
Resta da sapere se i democratici possono accettare di perdere un seggio al Senato, e se Kerry prenderà il segretariato di Stato o quello della Difesa.
Nel caso in cui prendesse il Dipartimento di Stato, la Difesa toccherebbe a Michèle Flournoy o ad Ashton Carter, che continuerebbero le attuali restrizioni di bilancio.
Nel caso in cui Kerry prendesse la Difesa, il Dipartimento di Stato spetterebbe a Susan Rice, il che non mancherebbe di porre alcuni problemi: si era mostrata assai scortese dopo i recenti veti russo e cinese, e non sembra avere il sangue freddo per questa carica. Inoltre, i repubblicani tentano di ostacolarla.
John Brennan, noto per i suoi metodi particolarmente sporchi e brutali, potrebbe diventare il prossimo direttore della CIA. Sarebbe incaricato di voltare la pagina degli anni di Bush, liquidando i jihadisti che hanno lavorato per l’Agenzia e smantellando l’Arabia Saudita che non sarebbe più di alcuna utilità. Se la cosa non riesce, la missione sarebbe affidata a Michael Vickers, ovvero a Michael Morell, l’uomo nell’ombra che stava al fianco di George W. Bush durante un certo 11 settembre mentre gli dettava il suo comportamento.
Il sionista e nondimeno realista Antony Blinken potrebbe diventare consigliere per la sicurezza nazionale. Si potrebbe risvegliare il piano che aveva elaborato, nel 1999 a Shepherdstown per Bill Clinton: fare la pace in Medio Oriente facendo assegnamento su... gli Assad.
Prima ancora della nomina del nuovo gabinetto, il cambiamento di politica si è già concretizzato con la ripresa dei negoziati segreti con Teheran. In effetti, la nuova situazione richiede di abbandonare la politica di isolamento dell’Iran e, infine, di riconoscere la Repubblica islamica come una potenza regionale. Prima conseguenza: i lavori di costruzione del gasdotto che collegherà South Pars - il più grande giacimento di gas del mondo - a Damasco e infine al Mediterraneo e all’Europa, sono ripresi, con un investimento di 10 miliardi di dollari che non potrà essere redditizio se non con una pace duratura nella regione.
La nuova politica estera di Obama II cambierà il Medio Oriente nel 2013 nella direzione opposta rispetto a quella annunciata dai media occidentali e del Golfo.
[1] «For besieged Syrian dictator Assad, only exit may be body bag» di Anne e Joby Warrick Gearan, The Washington Post, 1 agosto 2012. E si legga la vaga specificazione di Jodi B. Seth, portavoce del senatore Kerry: «Why John Kerry tested engagement with Syria», The Washington Post, 5 agosto 2012.
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