Thierry Meyssan risponde ai nostri lettori preoccupati per il suo sostegno al colpo di Stato militare in Egitto. Per lui, il golpe non ha messo fine alla democrazia, ma alla presa del potere da parte della setta dei Fratelli musulmani. Il golpe è quindi legittimo, ed è sostenuto da tutti gli altri partiti politici e leader religiosi, prima di essere celebrato per le piazze. Il problema non è l’intervento dell’esercito, ma la sua capacità di seguire la rotta verso la democrazia che ha negoziato con i leader politici e religiosi.
La pubblicazione di ieri sulla stampa e oggi sul nostro sito web, della mia cronaca di politica internazionale sulla crisi egiziana [1], ha lasciato alcuni dei miei lettori dubbiosi, come posso “sostenere il colpo di Stato militare contro un presidente democraticamente eletto?” mi scrivono.
Ma dunque, dove avete visto questo presidente costituzionale “democraticamente eletto” che agiva in “modo democratico”?
Le elezioni presidenziali del 17-18 giugno 2012 sono state caratterizzate dal record della bassa affluenza alle urne, il 65% degli elettori registrati, anche se a 2 milioni di egiziani, sotto le bandiere, viene negato il diritto di voto. In definitiva, Mohamed Morsi ha ricevuto meno di 12 milioni di voti su una popolazione, nell’età del diritto di voto, di 70 milioni di persone (tra cui i militari), cioè il 17% degli adulti egiziani. Dopo 80 anni di tentati colpi di Stato e di attività terroristiche in Egitto e altrove, per la prima volta i Fratelli musulmani andavano al potere legalmente.
Certo, la Costituzione non prevede un quorum per la validità delle elezioni, per cui non sono state contestate su questo aspetto, al momento. Tuttavia, resta che solo per poter apparire “democratico”, questo presidente doveva dimostrare un notevole talento nelle consultazioni e nel raggruppare. Doveva affermarsi come il presidente di tutti gli egiziani, non solo dei 12 milioni che lo hanno eletto.
Tuttavia, è ovviamente avvenuto il contrario. Mohamed Morsi, semplice cinghia di trasmissione dei Fratelli musulmani, si è affrettato ad infiltrare l’amministrazione a loro vantaggio, fino alla nomina a governatore di Luxor del capo del commando che massacrò 60 persone nel 1997. Ha lanciato un’ondata di privatizzazioni anche verso il Canale di Suez, simbolo dell’indipendenza nazionale per la vittoria di Gamal Abdel Nasser sulla coalizione imperialista anglo-franco-israeliana. Di fronte alle proteste nazionali, il presidente Morsi s’è permesso di sviluppare un fittizio movimento per l’indipendenza del Canale, completamente finanziato dal Qatar, che sembrava il “miglior candidato” all’acquisto del suddetto canale.
Invece di cercare un compromesso con l’esercito, che insisteva nel voler restare al di fuori del controllo dei civili, e il popolo che aveva boicottato le elezioni, il presidente Morsi si è presentato come l’uomo di una setta che serve interessi stranieri. In primo luogo, ovviamente, quelli del Qatar (che ha versato 8 miliardi di dollari in un anno a suo favore) e quelli della Turchia (che ne ha assicurato la comunicazione politica) e, infine, quelli degli anglo-sassoni (Stati Stati Uniti, Regno Unito e Israele).
Se il popolo ha reagito al carattere settario e anti-nazionale dei Fratelli musulmani, l’esercito si è pronunciato sulle implicazioni militari di questa politica. Dal 15 giugno, i fratelli hanno cambiato i loro proclami chiamando “infedeli” i sostenitori del presidente siriano Bashar al-Assad, gli sciiti e i cristiani, circa il 15% della popolazione egiziana. In tal modo, la Fratellanza apriva la via alla guerra civile.
In una conferenza stampa tenutasi lo stesso giorno, il presidente Mohamed Morsi, che non ha alcuna autorità sulle forze armate, ha fatto appello alla “jihad” contro gli “infedeli di Damasco.”
Ricordiamo qui che l’Egitto e la Siria si unirono nel 1958-1961 nell’ambito di un singolo Stato, la Repubblica Araba Unita. Anche se questo tentativo durò solo tre anni, i legami tra i due Paesi sono intensi.
Senza attendere, il Capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Abdel Fatah al-Sisi, sollevò l’eccezione di irricevibilità, la funzione delle forze armate è difendere i confini del Paese, non la “guerra santa” ad altri Stati musulmani. Perciò, l’esercito ha permesso lo sviluppo del movimento Tamarod (“Ribellione”), che in pochi giorni ha raccolto 15 milioni di firme contro il presidente Morsi, preparandone la sua messa sotto accusa.
La proposta presidenziale di andare in guerra contro la Siria si comprende come recupero delle posizioni turche. Dall’inizio di maggio, Ankara è parzialmente fuori gioco dal conflitto. I Fratelli musulmani hanno deciso che fratello Morsi avrebbe aiutato fratello Erdogan.
Quando le manifestazioni anti-Morsi avevano raggiunto un livello critico, assai superiore ai voti ottenuti da Morsi (richiamando 17 milioni di manifestanti), l’esercito è intervenuto per mettere sotto accusa il presidente. Il generale al-Sisi s’è incontrato con il segretario alla Difesa degli Stati Uniti per assicurarsi che nulla sarebbe stato fatto dagli Stati Uniti per mantenerlo al potere, dato che Morsi è un cittadino degli Stati Uniti e un agente del Pentagono (che ha accesso al segretario dalla Difesa degli Stati Uniti). Sembra sia stato assicurato che l’iniziativa anti-siriana del presidente impegnasse i Fratelli musulmani e non Washington. Per precauzione, attese le 22.00 del 3 luglio per annunciare la decisione dei militari, ossia la chiusura delle attività a Washington (il 4 luglio è festa nazionale). L’annuncio è stato fatto in televisione dal generale al-Sisi, circondato dai principali leader civili e religiosi del Paese, ad eccezione dei Fratelli.
Vorrei sottolineare che non vi era altra soluzione possibile alla crisi egiziana che l’intervento dell’esercito, come dimostrano i 33 milioni di egiziani poi scesi in piazza per festeggiare il colpo di Stato. La scelta non è tra democrazia e golpe, ma tra un colpo di Stato e la guerra civile.
Mi dispiace che l’esercito egiziano abbia concordato separatamente la pace con Israele a spese del popolo palestinese. Non sostengo la sua mossa perché si rifiutava d’impegnarsi in una guerra contro la Siria, ma perché cerca di salvare l’unità del Paese e la sua pace civile. La vivacità della mia reazione è certamente il risultato della mia esperienza: ho visto i crimini commessi dai Fratelli musulmani in Libia e Siria.
Inoltre, lo scopo di questa mossa non è mettere l’esercito al potere, ma d’impedire la presa del potere da parte di una setta golpista. I leader dei partiti politici, il rettore di al-Azhar e il Papa copto, che circondavano il Capo di stato maggiore durante il suo annuncio, avevano precedentemente concordato una “road map” comune, specificando il tipo di regime che seguirà e i passi per raggiungere questo obiettivo, un passo logico in un Paese dove da 4000 anni tutti i capi di stato, tranne Morsi, sono stati dei militari.
Tutti hanno accettato di riprendere l’esperienza democratica interrotta dai Fratelli musulmani, una volta che la minaccia della guerra civile sarà superata.
Anzi, è il primo dovere di un governo, sia civile che militare, evitare la guerra civile, invece di causarla. È per questo che l’esercito ha organizzato l’arresto dei 300 leader chiave della Fratellanza, salvo il suo leader supremo.
Poi hanno bloccato i tunnel dall’Egitto a Gaza. Si tratta, naturalmente, di evitare che i combattenti di Hamas, che hanno aderito alla strategia della Confraternita sotto la guida di Khalid Meshaal e il denaro del Qatar, di combattere in Siria, inquadrati dal Mossad, contro altri palestinesi, di giungere in aiuto ai loro fratelli egiziani. Tuttavia, la chiusura dei tunnel colpisce il popolo palestinese, mentre tiene a bada Hamas.
Inoltre, il consiglio militare ha nominato e installato un presidente civile transitorio, Adly Mansour, presidente francofilo del Consiglio costituzionale. Così, sotto la pressione degli eventi, l’esercito ha violato l’ordine costituzionale per ripristinare una parte del potere nelle mani di colui che è responsabile di garantirla.
Agendo in emergenza, il Consiglio militare credeva di poter nominare come Primo ministro Mohamed al-Baradei, che ha la fiducia di Washington. Si trattava di garantirsi la continuazione dei sussidi statunitensi all’Egitto, circa 1,39 miliardi di dollari ogni anno. A fronte dell’opposizione del partito salafita al-Nur, l’esercito, fedele alla “tabella di marcia”, ha sospeso i tempi per una nuova trattativa.
Il tempo ci dirà se il consiglio militare sarà in grado di mantenere l’unità nazionale contro la minaccia dei Fratelli musulmani, o se trascinato dal rumore delle armi, imporrà un’altra dittatura.
Traduzione di Alessandro Lattanzio
[1] “La sorte di Morsi prefigura il destino dei Fratelli musulmani?”, di Thierry Meyssan, Traduction Pier Francesco De Iulio, Megachip (Italia), Rete Voltaire, 8 luglio 2013.
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