Grecia e Turchia sono state messe a confronto in due casi analoghi che vedono implicati cittadini del rispettivo vicino. La reazione del sistema giudiziario dei due Paesi è stata opposta.
Il 2 maggio 2018 il cittadino turco Musa Alerik, dipendente del comune di Adrianopoli (Edirne), è inavvertitamente entrato in territorio greco, nei pressi del villaggio di Kastanies. I soldati greci della stazione di controllo frontaliero l’hanno arrestato.
Subito si è pensato che si trattasse di un caso “ideale” che avrebbe consentito alla Grecia di negoziare, in base al principio di reciprocità, per ottenere la liberazione dei due soldati greci, arrestati giovedì 1° maggio per essere inavvertitamente entrati in territorio turco.
Questo caso può essere considerato “ideale” perché il cittadino turco e i due soldati greci hanno commesso esattamente lo stesso reato e addirittura nello stesso luogo.
Nel caso del turco Musa Alerik, la magistratura ha dato prova della superiorità della giustizia greca e dimostrato che la Grecia è uno Stato di diritto.
Al sistema giudiziario greco sono bastate meno di ventiquattr’ore per emettere l’atto di accusa, far comparire l’accusato davanti al tribunale, condannarlo a cinque mesi di prigione con condizionale e a un’ammenda di 1.500 euro, nonché al rimborso delle spese processuali, indi disporre la confisca della ruspa e la sospensione della pena per tre anni.
Il cittadino turco, entrato illegalmente in Grecia mercoledì 30 aprile a Kastanies sul fiume Evros, è ora detenuto, in attesa che nei prossimi giorni si concludano le procedure di espulsione verso la Turchia.
Ora esaminiamo il comportamento delle autorità turche nel caso del tenente Mitretodis e del sergente Kouklatzis. Un caso, o piuttosto un semplice fatto, esattamente uguale a quello del turco Musa Alerik. Anche i due soldati greci sono entrati inavvertitamente in territorio turco, praticamente nella stessa zona, a poche centinaia di metri a nord dal punto in cui è entrato il cittadino turco Alerik. La giustizia turca però ha trasformato due esseri umani in strumento politico dello Stato. Ancora, ha cercato di farne un caso politico per ricattare il governo greco e indurlo ad abolire quello Stato di diritto, applicato anche al caso degli otto ufficiali turchi che hanno chiesto alla Grecia asilo politico.
La giustizia greca ha deciso di non accogliere la richiesta di estradizione della Turchia perché nutre seri timori che agli otto ufficiali venga garantito un processo equo. Ed ecco che ora arriva il caso dei due militari greci per provare, casomai ce ne fosse bisogno, che in Turchia lo Stato di diritto non esiste e corroborare ancor di più la decisione della giustizia greca di non estradare gli otto ufficiali turchi.
Due avvenimenti simili accaduti nello stesso luogo: il tribunale greco ha emesso la sentenza in meno di ventiquattr’ore; la giustizia turca, sebbene siano trascorsi 65 giorni, non ha ancora formalizzato l’atto di accusa contro i due militari greci che, nell’anno 2018, nel XXI secolo, sono detenuti come ostaggi!
E come se tutto questo non bastasse, il presidente turco, che ambisce alla rielezione nelle presidenziali del prossimo 24 giugno, ha ingiunto apertamente e pubblicamente alla Grecia di consegnargli gli otto ufficiali, seppure in violazione dei principi dello Stato di diritto, ponendola come condizione imprescindibile per trattare il caso dei due militari greci.
Questi due casi dovrebbero essere tenuti ben presenti innanzitutto, e soprattutto, dai Paesi europei, in particolare dell’Unione Europea, che considerano lo Stato di diritto una conquista fondamentale del mondo moderno e un’arma contro la barbarie. Paesi che, prendendo a pretesto profitti e interessi economici, hanno più volte chiuso gli occhi sulle violazioni dei diritti umani fondamentali compiute dal governo di Ankara, grazie anche alla partecipazione-complicità della giustizia. Risultato: un imbarbarimento progressivo dell’Europa invece dell’umanizzazione della Turchia.
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