Allorché sette Stati si sono già rifiutati di firmare il Patto Mondiale per le Migrazioni, che si ha la pretesa sia stato redatto nel loro interesse, Thierry Meyssan ritorna sulla storia del documento e sulla filosofia cui si ispirano i suoi autori: quella di Karl Popper e del senza-frontierismo.
In occasione della conferenza di Marrakech per il 70° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti del’Uomo, gli Stati membri delle Nazioni Unite dovranno votare il Patto Mondiale per Migrazioni sicure, Ordinate e Regolari.
Secondo la rappresentante speciale del segretario generale, Louise Arbour, lo scopo del Patto è agevolare il trasferimento di lavoratori da Paesi poveri a Paesi ricchi. «I dati demografici indicano che se [i Paesi ricchi] vogliono mantenere i livelli economici attuali o addirittura far crescere l’economia, dovranno accogliere lavoratori stranieri con buona formazione per rispondere alle richieste del mercato del lavoro» ha dichiarato Arbour. Secondo il servizio stampa delle Nazioni Unite, si tratta di «regolare le migrazioni in modo che funzionino per il mondo intero».
La Germania è stata il primo Stato a mettere in pratica questa politica, accogliendo nel 2015 oltre un milione di migranti, alcuni dei quali provenienti dalla Siria [1]. Ma dopo due anni non è ancora riuscita a integrarli. Il malcontento popolare per questo flusso migratorio massiccio ha indotto la cancelliera federale, Angela Merkel, ad annunciare l’intenzione di mettere fine alla propria carriera politica.
L’iniziativa del segretariato generale delle Nazioni Unite non è per il momento accettata da sette Stati “ricchi”: Austria, Croazia, Ungheria, Lituania, Repubblica Ceca, Slovacchia e Svizzera. Altri potrebbero aggiungersi, in particolare Belgio, Bulgaria e Italia.
Secondo il cancelliere austriaco Sebastian Kurz – il cui Paese, pur avendo rappresentato l’Unione Europea nei negoziati di New York, si oppone al testo – la filosofia che sottende il Patto è l’abrogazione delle distinzioni tra i diversi tipi di migranti (legali e illegali; economici, umanitari e politici). Di conseguenza, il Patto avrà ripercussioni immediate sui diritti sociali, sia nel territorio dello Stato ospitante sia negli accompagnamenti coatti alla frontiera.
Il testo ha origine nell’appendice 2 della Dichiarazione di New York per i rifugiati e i migranti, stilata sotto la direzione di Peter Sutherland [2]. Questo personaggio di alto rango, il 21 giugno 2012, in un’audizione alla Camera dei Lord britannica, dichiarò che ogni individuo deve avere la possibilità di studiare e lavorare nel Paese da lui scelto – fatto incompatibile con qualunque politica migratoria restrittiva – e che le migrazioni creano una dinamica cruciale per lo sviluppo economico, checché ne dicano i Paesi di accoglienza. Di conseguenza, concludeva Sutherland, l’Unione Europea deve scalzare l’omogeneità delle nazioni che ne fanno parte [3].
Il Patto Mondiale per Migrazioni Sicure, Ordinate e Regolari non prevede, a carico degli Stati, misure impositive o che limitino direttamente la loro sovranità. Esso deriva dal metodo caro agli adepti di Karl Popper, il pensatore della “società aperta” e del “senza-frontierismo”: proclamare dei diritti (non nel senso di “diritti positivi” ma di “diritti di credito”) la cui messa in atto verrà imposta alle legislazioni nazionali attraverso ricorsi giuridici. È questa la strategia dell’ONG Pueblo sin fronteras (finanziata dalla speculatore George Soros), che organizza carovane di migranti dall’America Centrale verso gli Stati Uniti.
La filosofia del Patto favorisce anche l’uso di migranti come arma da guerra [4], che la Nato ha già sperimentato per scatenare quella del Kosovo, per privare la Siria delle sue difese, o per preparare un intervento militare contro il Venezuela (Sutherland, che è morto all’inizio di quest’anno, era egli stesso un ex amministratore del think-tank della NATO, il Club Bilderberg). Questa strategia è stata valorizzata da un’altra ONG di George Soros, l’International Crisis Group, di cui Louise Arbour è stata presidente.
Oggi assistiamo nei fatti a un va e vieni: gli Occidentali inviano armi nelle regioni che distruggono e in cambio accolgono i rifugiati che costringono a scappare da casa loro [4].
[1] «La falsa crisi dei migranti», di Thierry Meyssan, Rete Voltaire 7 settembre 2015, traduzione di Matzu Yagi. «Come l’Unione Europea manipola i profughi siriani», di Thierry Meyssan, traduzione di Pier Francesco De Iulio, Megachip-Globalist (Italia), Rete Voltaire, 2 maggio 2016.
[2] « Déclaration de New York pour les réfugiés et les migrants », Réseau Voltaire, 19 septembre 2016.
[3] “EU should ’undermine national homogeneity’ says UN migration chief”, Brian Wheeler, BBC, June 21st, 2012. “Quelli che tirano i fili della crisi migratoria”, di Thierry Meyssan, Traduzione Matzu Yagi, Megachip-Globalist (Italia) , Rete Voltaire, 2 maggio 2016.
[4] “Circuito di morte nel «Mediterraneo allargato»”, di Manlio Dinucci, Il Manifesto (Italia) , Rete Voltaire, 19 giugno 2018.
Restate in contatto
Seguiteci sui social network
Subscribe to weekly newsletter