L’amministrazione Obama ha intensificato le tensioni con la Cina attraverso una serie di misure che possono solo essere classificate come immense provocazioni, intese a minare le relazioni tra i due paesi. Tali provocazioni includono il supporto ai movimenti separatisti, come quello dei monaci teocratici finanziati dagli Stati Uniti, che ha portato al secessionismo tibetano, o i secessionisti Uiguri, supportati da Washington, così come il finanziamento da 6.4 miliardi di dolari in armi avanzate al Taiwan, un protettorato virtuale della Marina statunitense. Il presidente Obama ha incontrato pubblicamente e apertamente appoggiato questi gruppi separatisti e secessionisti, ostentando il rifiuto di Washington a riconoscere i confini della Cina. Questo fa parte della strategia statunitense di incoraggiare la distruzione fisica delle nazioni indipendenti, che vengono viste come "ostacoli" al proprio programma di costruzione di un impero militare globale.

Oltre a continuare ed intensificare le politiche di ostilità del predecessore, l’amministrazione Obama ha approfittato di molti altri elementi per chiamare a raccolta l’opinione pubblica americana e mobilitare gli alleati oltreoceano nella loro posizione di braccio di ferro. Innanzitutto, l’amministrazione Obama sostiene che la moneta cinese (il renminbi) venga artificialmente svalutato per offrire alle esportazioni cinesi un vantaggio sleale sui prezzi, offrendo quindi al minor prezzo le esportazioni manufatturiere statunitensi e costando "milioni di posti di lavoro americani". In secondo luogo, l’amministrazione afferma che, a seguito dell’apertura del mercato statunitense alle marche cinesi, la Cina non abbia "contraccambiato" aprendo i propri settori finanziari agli investimenti di Wall Street.

Come rappresaglia per la crescita delle esportazioni cinesi, Washington ha imposto tariffe protettive su tubi d’acciaio e pneumatici per auto, e ha diffuso, attraverso il Congresso, minacce circa la possibilità di misure protezioniste.
Gli Stati Uniti insistono a dire che ci sono nazioni che supportano le loro politiche aggressive nei confronti dell’Iran, come l’imposizione di affari, investimenti e sanzioni finanziarie, o il supporto alla provocatoria occupazione navale statunitense nel Golfo Persico, o l’appoggio alla minaccia israeliana di bombardare Teheran. Dal canto suo, la Cina rifiuta le sanzioni economiche, in favore di negoziazioni, e nel frattempo aumenta le proprie tariffe e i propri investimenti in settori strategici dell’economia iraniana. All’interno del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, gli Stati Uniti hanno fatto uso di pressioni diplomatiche e massmediatiche per costringere la Cina a votare per una proposta sionista di sanzioni ad ampio spettro contro l’Iran. Obama non accetta il rifiuto della Cina alle politiche militarizzate statunitensi volte al cambiamento di regime né la sua ricerca di scambi liberi con l’Iran.

La definizione dell’amministrazione statunitense di "autodeterminazione" include il fatto di dare supporto ai movimenti regionali secessionisti etno-religiosi in Cina, mentre allo stesso tempo sono proprio gli Stati Uniti che invadono e occupano stati indipendenti, come Iraq e Afghanistan, ordinando attacchi missilistici verso altri stati, come Pakistan e Somalia, installando oltre 700 basi militari nel mondo con giuristizione extra-territoriale ed impegnandosi nell’assassinio dei suoi oppositori stranieri attraverso la CIA e le Forze Speciali.

Al contrario, la Cina non è in guerra e si oppone alle invasioni militari di stati sovrani. La Cina non ha basi militari in paesi stranieri e viene minacciata dalle politiche statunitensi di circondare le frontiere cinesi con basi militari americane in stati del nordest, sudest e dell’Asia centrale.

Mentre le forze militari di occupazione statunitensi violano brutalmente i diritti umani di milioni di persone in paesi occupati o obiettivi di missioni, e minacciano i diritti civili degli americani critici imponendo regolamentazioni arbitrarie, processi segreti e sospensione dell’habeas corpus, il regime di Obama stronca la Cina perseguitando i suoi attivisti.

Il regime di Obama si è attaccato al pretesto del conflitto tra una corporazione privata statunitense (Google) e gli hacker cinesi, che pare vengano finanziati da soldi pubblici, spostando l’attenzione su una battaglia per la "libertà di internet" al livello di relazioni tra stati. Nonostante la presenza sempre più ampia di compagnie statunitensi in Cina, il regime di Obama ha alzato il tiro, parlando di "censura di internet", come si trattasse di un confronto ideologico di immensa portata.
I cambiamenti climatici sono una delle altre ragioni di screzi tra i due stati. Agli incontri di Copenhagen del Dicembre 2009, Obama ha respinto qualunque accordo formale sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica, criticando ed incolpando la Cina e altri paesi in via di sviluppo, che avevano sottoscritto accordi informali per ridurne le emissioni.

Tra tutti questi motivi di tensione, il più serio è il supporto finanziario, diplomatico e politico da parte di Washington ai gruppi secessionisti presenti in Cina, che minacciano la sicurezza e l’integrità territoriale dello stato. Questo immenso problema ha risvegliato ricordi dolorosi dei primi imperialisti che avevano tentato di conquistare Cina, le sue ricche città portuali e i territori, e hanno imposto alle autorità cinesi di prendere in considerazione misure di rappresaglia.

Politiche imperialiste: a che prezzo?

Le provocazioni politiche e diplomatiche esercitate dal regime di Obama nei confronti della Cina, volte alla costruzione dell’impero militaristico, rischiano di costare caro. Non possiamo pensare che la Cina continui a comportarsi come uno stoico sacco da pugile per gli Stati Uniti, accettando minacce territoriali, pressioni economiche ed insulti diplomatici gratuiti senza prendere contromisure, specialmente per quel che riguarda la sfera economica.

Il ruolo cruciale della Cina come creditore degli Stati Uniti

La posizione militaristica di Obama, provocatoria verso la Cina, rischia di compromettere grandi interessi economici, privati e pubblici, degli Stati Uniti, inclusi i finanziamenti cinesi al nascente debito statunitense.

La Cina è l’investitore più importante e in più rapida crescita per quel che riguarda i titoli statunitensi. Secondo uno studio dettagliato del Congressional Research Service (CRS) (30 Luglio 2009), la Cina possiede un quantitativo enorme di buoni del Tesoro a lungo termine, stimati per oltre 1.2 trilioni di dollari. Gli investimenti cinesi nei titoli del Tesoro statunitense sono stati usati per finanziare il "recupero" (per così dire) economico. Se il regime di Obama dovesse persistere nelle sue provocazioni, la Cina potrebbe decidere di svendere una larga parte dei propri titoli, comportando la vendita da parte di altri investitori stranieri delle proprie quote (fonte: CRS). Questo potrebbe portare ad un’improvvisa svalutazione del dollaro e forzare Washington ad aumentare i tassi di interesse, che porterebbero gli Stati Uniti in una depressione/recessione ancora peggiore. Gli economisti che sostengono che gli interessi dell’economia cinese soffrirebbero per tale vendita non tengono conto del fatto che per Pechino la sovranità nazionale è più importante delle perdite economiche a breve termine, specialmente considerando il supporto statunitense ai movimenti secessionisti. Inoltre, i cinesi hanno alti tassi sui risparmi, grosse scorte straniere e un mercato sempre più mutevole, oltre a scorte di beni essenziali. La Cina si trova in una posizione migliore per assorbire il "colpo" di un declino dei rapporti economici con gli Stati Uniti risultante dalla loro bellicosità, rispetto ad un’economia americana inchiodata dal debito, priva di risparmi, focalizzata sulle forze militari.

Investimenti stranieri diretti

Quasi tutte le 400 maggiori multinazionali statunitensi, elencate su Forbes, hanno fatto grossi investimenti in Cina, che stanno maturando. La posizione sempre più ostile del regime di Obama nei confronti della Cina pone questi investimenti ad alto rischio.

Gli investimenti statunitensi in Cina hanno superato di gran lunga quelli cinesi negli Stati Uniti, secondo un rapporto pubblicato dal Centro per gli Studi Americano-Asiatici dell’Università della California. Nel 2006 gli investimenti diretti della Cina negli USA ammontavano a 600 milioni di dollari, mentre quelli degli USA in Cina a 22.2 miliardi di dollari. Il rapporto afferma che "...le lamentele da molti uomini d’affari e politici americani riguardo al fatto che la Cina possa investire facilmente nelle compagnie statunitensi, mentre mantiene un accesso ristretto al proprio mercato, sembrano non essere confermate dai numeri". Il governo degli Stati Uniti ha, di fatto, bloccato molti investimenti su larga scala alle compagnie cinesi, tra cui l’acquisto multimiliardario (in dollari) della compagnia petrolifera UNOCAL, una società che produce elettrodomestici (la Maytag) e una che produce computer (la 3Com Corp). Gli investimenti cinesi negli Stati Uniti non sono sempre vantaggiosi. I Fondi Sovrani (fondi d’investimento gestiti dal governo) hanno perso in meno di un anno oltre il 50% dei propri investimenti, dell’ordine di 8 miliardi di dollari, in gruppi finanziari quali Blackstone e Morgan Stanley.

Il regime di Obama si lamenta dei trattamenti "restrittivi" della Cina nei confronti delle compagnie statunitensi che sfidano la realtà economica. Gli attacchi fanno parte di una strategia politica di propaganda anti-cinese pensata per sollevare l’odio del pubblico americano e raccogliere consensi per qualunque tipo di strategia militare. Nonostante le società statunitensi raccolgano in Cina profitti migliaia di volte superiori a quelli risultanti dagli investimenti cinesi negli Stati Uniti e le principali compagnie di investimenti non facciano altro che frodare gli investitori cinesi per miliardi di dollari, la Casa Bianca chiede libertà d’azione!

Le politiche della Cina, profondamente maligne, volte a limitare la scalata finanziaria delle società di Wall Street è stata una delle ragioni per cui il collasso speculativo statunitense non si è abbattuto sull’economia cinese. E Washington non perde comunque occasione per attaccare Pechino insistendo sul tasto dell’"apertura dei mercati finanziari cinesi a Wall Street".

Gli affari USA-Cina

Il regime di Obama ha spesso sollevato l’argomento della moneta "deprezzata", ignorando di proposito il fatto che le importazioni cinesi dagli Stati Uniti stiano crescendo più velocemente di quanto non facciano le sue esportazioni negli Stati Uniti. Dal 2006 al 2008 le esportazioni annuali statunitensi in Cina sono cresciute del 32%, 18% e 9.5%, mentre le importazioni di beni cinesi sono cresciute del 18%, 11.7% e 5.1%. Inoltre, le maggiori esportazioni statunitensi comprendevano macchinari ed equipaggiamenti elettrici, generatori di potenza, semi e frutti oleosi, prodotti aerospaziali, equipaggiamenti ottici, ferro e acciaio - ovvero un’ampia gamma di prodotti industriali americani di alto valore aggiunto, prodotti derivanti da lavoro altamente specializzato e ben pagato, e con profitti vantaggiosi.

Per di più, il fatto che le esportazioni statunitensi in Cina includano un ampia varietà di settori manifatturieri e siano competitivi all’attuale tasso di scambio, suggerisce che il grande deficit di scambi con la Cina abbia meno a che fare con le politiche valutarie cinesi e più con gli investimenti pubblici e privati degli Stati Uniti, e con le relative forze produttive di ciascuna economia. Sostanzialmente, il grosso delle esportazioni dalla Cina agli Stati Uniti sono il risultato di decisioni prese da multinazionali statunitensi al fine di produrre e subappaltare attività in Cina. In altre parole, la carenza di scambi con la Cina è direttamente legata alle strategie corporative statunitensi di investimenti globali, che, a sua volta, hanno iniziato a prosperare in seguito alla liberalizzazione imposta dal governo degli Stati Uniti e alla deregolamentazione della sua gestione corporativa. La principale causa della carenza di affari sono le politiche di investimenti liberali messe in atto sotto il governo statunitense, e non le "ingiuste regole di scambio" cinesi.

L’atteggiamento rabbioso adottato dal regime Obama nei confronti della moneta "svalutata" della Cina è una manovra politica per spostare l’attenzione dagli esiti disastrosi dell’economia liberale e dall’appoggio dato agli investimenti a favore delle grandi corporazioni statunitensi.

Il deficit annuale degli scambi tra Stati Uniti e Cina è cresciuto almeno di quattro volte tra il 1999 e il 2008 (da 68.7 miliardi a 266.3 miliardi di dollari). Tale crescita coincide con il massiccio spostamento di investimenti statunitensi dal settore manifatturiero a quello finanziario speculativo, ai beni immobili e alle assicurazioni. In altre parole, gli Stati Uniti hanno reindirizzato le proprie strategie di investimento dalla produzione di beni utili e di qualità per il consumo interno e l’esportazione, all’importazione di beni fabbricati all’estero con enormi profitti per le corporazioni. L’indebolimento della capacità produttiva statunitense - ovvero, della sua forza produttiva - si è tradotta in una condizione di declino della competitività e nell’aggravarsi degli squilibri negli scambi. Viste le profonde relazioni tra la Casa Bianca e Wall Street, coloro che prendono le decisioni politiche hanno cercato di dare la colpa ai funzionari responsabili della svalutazione della moneta cinese, piuttosto che mettere a confrondo la bolla economica simulata dalle politiche della Federal Reserve e realizzata dagli investimenti di Wall Street, il cui direttivo continua ad occupare posizioni chiave dell’economia nel governo statunitense, oltre a fornire fondi sostanziosi per le campagne elettorali.

Nei settori economici in cui gli investimenti statunitensi hanno permesso un aumento dell’efficienza, come ad esempio l’agricoltura, gli Stati Uniti hanno ottenuto discreti successi. La Cina è tra i primi acquirenti di soia e cotone americano - incidendo per oltre la metà delle vendite mondiali nel primo caso e per circa un terzo nel secondo, stando a quanto dice la Commissione degli scambi internazionali statunitense e il Ministero del Commercio degli Stati Uniti.

Affari, credito e investimenti contro militarismo e speculazione

Le relazioni economiche tra Cina e Stati uniti sono state straordinariamente vantaggiose e a favore dei grandi capitalisti statunitensi e del governo americano. Acquistando buoni del Tesoro a basso tasso d’interesse, la Cina ha finanziato gli affari statunitensi e i deficit di bilancio, che sono il risultato di esorbitanti spese militari, numerose occupazioni e guerre di tipo imperialistico, oltre ad investimenti speculativi non produttivi. Le multinazionali statunitensi hanno ottenuto alti tassi di profitto per i propri investimenti in Cina, profitti che eccedono di molto rispetto alle cifre che avrebbero guadagnato investendo negli Stati Uniti, e molto maggiori di quanto non abbiano ottenuto le poche società cinesi nel ben più restrittivo clima statunitense. Importanti settori economici statunitensi, quali l’aerospaziale, le attività agricole, le attrezzature portuali, i trasporti e i commerci all’ingrosso si basano sui profitti ricavati dagli affari con la Cina. Gli speculatori statunitensi sono stati in grado di racimolare molto denaro dalla Chinese Sovereign Funds, immettendo capitali e svendendo titoli speculativi.

Mentre in Cina la crescita dinamica e i tasso di domanda dei consumi continuano a fare concorrenza a quella degli Stati Uniti, nei rapporti con la Cina le esportazioni americane sorpassano le importazioni.

Il crescente antagonismo politico e le sconsiderate azioni diplomatiche intraprese dalla Casa Bianca e dal Congresso nei confronti della Cina hanno l’effetto di minare gli interessi economici di base di un’ampia area di imprese capitaliste statunitensi, così come della credibilità dell’economia americana. Quello che è ancor più sorprendente, è che molte delle spese a carico di Pechino, inclusi gli "ingiusti trattamenti" nei confronti degli investitori e l’"economia chiusa" - si aplicano con maggiore forza a Washington.

Il paradosso del guadagno economico e dell’ostilità politica

La chiave per comprendere questo paradosso di guadagno economico e ostilità politica risiede nelle strutture economiche e politiche, fondamentalmente differenti, e nelle strategie globali dei due paesi. L’economia statunitense viene portata avanti dalle sue classi capitaliste speculative e finanziarie, che, a loro volta, esercitano un’influenza importante sulle politiche economiche dello stato. Allo stesso tempo, la classe capitalistica è più favorevole all’importazione di beni piuttosto che agli investimenti a lungo termine nella ricerca e nello sviluppo del settore manifatturiero americano. Né i capitali commerciali né quelli finanziari hanno interesse a stimolare le esportazioni statunitensi e ad investire nelle forze produttive del paese. Il disegno e la realizzazione della strategia globale statunitense viene controllata dai militaristi civili e dagli ideologi imperialisti (specialmente i sionisti) all’interno del governo e nelle cariche analoghe dei più alti settori di comando militare.

In opposizione alla mossa cinese di conquista del potere attraverso il mercato globale, l’imperialismo statunitense è costruito attorno alla conquista militare e all’appropriazione delle ricchezze economiche. L’influenza sproporzionata esercitata dai militaristi civili nel governo americano è sfociata in una serie di guerre, che hanno sottoposto a pesante stress l’economia statunitense e portato ad una definizione militare degli obiettivi globali degli Stati Uniti. Davanti alla crescente influenza economica cinese in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente, e all’opposizione di Pechino nei confronti delle politiche imperialistico-militari americane in Iran, Washington ha intensificato le sue provocazioni politiche, le pressioni diplomatiche e le interferenze con gli affari interni cinesi. Mentre queste pressioni esterne crescono, la pubblica opinione cinese diventa sempre più nazionalista, permettendo ai mass media americani di proporre una propaganda basata sulla "xenofobia" e lo "sciovinismo" cinese. La natura irrazionale della propaganda anti-cinese portata avanti dai media americani in questi ultimi tempi diventa più evidente nei continui avvertimenti circa una minaccia militare cinese alla sicurezza asiatica, soprattutto mentre gli Stati Uniti continuano ad espandere le proprie basi militari in Corea del Sud, Giappone, Filippine, Australia, Afghanistan e Asia Centrale. La Cina non possiede né basi militari estere né flotte navali lungo le coste di alcun territorio statunitense o alleato.
Più gli Stati Uniti fanno affidamento sulle proprie forze militari, su brutali sanzioni economiche e su ostruzioni dirette per il rovesciamento dei regimi, ed estende la propria rete di regimi clientelari, più crescono le sue ostilità nei confronti della Cina, che sta stringendo legami economici con "avversari" degli Stati Uniti, quali Iran, Venezuela, Sudan, Nicaragua, ecc.

Gli Stati Uniti hanno visto indebolirsi pesantemente le proprie forze produttive nel processo di finanziamento della propria macchina militare globale, La Cina, dal canto suo, ha tentato di diventare una potenza mondiale sulla base di uno sviluppo a lungo termine e a larga scala delle proprie forze produttive, nonostante l’opposizione statunitense. In molte occasioni Washington si è lasciato sfuggire enormi opportunità di sfruttare la crescita dinamica, il mercato in esplosione e l’espansione economica cinese in favore dell’economia statunitense, preferendo futili provocazioni

Conclusione

In definitiva, ciò che abbiamo è un conflitto fra due sistemi economici e politici diametralmente opposti.

Da un lato, un impero militare come quello degli Stati Uniti, concentrato sulla conquista di Iraq, Afghanistan e Iran, appoggia le ambizioni di un Israele militarista, cerca stati satelliti nell’America Latina e militarizza Pakistan, Colombia e Messico.

Dall’altro lato, la Cina stringe i propri legami economici con paesi Asiatici; incrementa i propri agganci petroliferi con l’Arabia Saudita, l’Iran e gli Stati del Golfo, con il Venezuela, la Russia e l’Angola; scalza gli Stati Uniti dal ruolo privilegiato di partner economico di Brasile, Argentina, Perù e Cile; aumenta i propri affari ed investimenti in Sud Africa, nei minerali e nei progetti legati alle infrastrutture. Il contrasto è notevole.

L’espansione economica globale cinese viene messa a confronto con l’accerchiamento militare statunitense, le sue provocazioni diplomatiche e una massiccia campagna di propaganda anti-cinese per spostare l’attenzione pubblica degli Stati Uniti dai profondi squilibri dell’economia interna. Anziché guardare all’interno dei propri confini per capire le ragioni del declino statunitense, il regime di Obama incoraggia il pubblico a prendersela con le presunte ingiustizie nelle politiche economiche cinesi, come le regole "restrittive" sugli investimenti, la valuta manipolata e la dura risposta ai movimenti secessionisti finanziati dagli Stati Uniti.

Gli Stati Uniti non risolveranno i problemi di bilancio e di affari, per non parlare delle infinite guerre imperialistiche, assecondando sovrani religiosi come il Dalai Lama, e punzecchiando una potenza economica come quella cinese. Washington non può nemmeno sfuggire ai profondi squilibri economici andando incontro agli speculatori di Wall Street ed ignorando il declino delle forze produttive americane. Nullafacenti, slanci militaristici ed eserciti fantocci ingaggiati in guerre senza fine non hanno molto a che vedere con gli investimenti impetuosi, il mercato in forte sviluppo e i legami della Cina con le economie dinamiche che stanno emergendo nel mondo.

James Petras ha alle spalle una lunga storia di impegno nella giustizia sociale, avendo lavorato per 11 anni con il Movimento dei Lavoratori Senza Terra brasiliani. Tra il 1973 e il 1976 è stato membro del Tribunale "Bertrand Russel" sulla Repressione in America Latina. Scrive un contributo mensile per il giornale messicano La Jornada, e in precedenza ha scritto per il quotidiano spagnolo El Mundo. Si è laureato all’Università di Boston e ha ottenuto il dottorato all’Università della California a Berkeley.

Traduzione per ComeDonChisciotte.org a cura di Elisa Nichelli.