L’elezione alla presidenza della Repubblica del candidato “anti-sistema” Emmanuel Marcon non rivoluziona il sistema né i “valori” politici. Le riforme presentate s’inscrivono in una tendenza, ormai consolidata da decenni, in cui spicca l’assenza di qualsiasi alternativa alla mondializzazione liberale. Una politica legittimata dal primato dei mercati e delle organizzazioni internazionali sulle politiche nazionali e dalla volontà di essere nel medesimo tempo di destra e di sinistra – versione moderna del “né di destra, né di sinistra” della “terza via” – già in parte adottata dai partiti continentali.

Soprattutto, l’elezione di Macron porta a compimento una crisi acuta della rappresentatività dei partiti. Già le primarie sottraevano ai membri di un partito la possibilità di designare un proprio candidato. Per di più, in questa tornata elettorale molti dirigenti socialisti hanno chiesto lo smantellamento del partito. Il crollo del sistema di rappresentanza politica e la sua “riorganizzazione” nel movimento En Marche! non sono una sorpresa, bensì l’esito di una tendenza di gran pondo. Si tratta, come diceva lo slogan della campagna elettorale di Georges Pompidou, di un «cambiamento nella continuità».

Il Legislativo designato dall’Esecutivo

Tuttavia, la successione a distanza ravvicinata di modifiche di ordine quantitativo sfocia in trasformazione qualitativa. È sufficiente che nulla cambi nella tendenza impressa alle riforme perché queste si risolvano in una trasformazione profonda dell’organizzazione del potere.

La maggior parte delle prerogative già sono accentrate nelle mani dell’esecutivo, a scapito dei poteri legislativo e giudiziario.Tuttavia, per la prima volta il presidente ha la possibilità di scegliere direttamente una parte rilevante dei membri dell’Assemblea Nazionale. Il primo turno [delle elezioni legislative, ndt] ha decretato la vittoria dell’alleanza di En Marche! e MoDem [1]. Al secondo turno, oltre il 30% dei voti dovrebbe garantirle una superiorità numerica esente da preoccupazioni, ben oltre la maggioranza assoluta. La conseguenza di simile esito è che gran parte degli eletti, quelli che costituiranno la sua maggioranza parlamentare, saranno scelti da Emmanuel Macron. La struttura di En Marche! è particolarmente centralizzata. Il movimento ha una specificità: i candidati alle elezioni legislative non sono scelti dalla base, bensì designati dall’alto, da una commissione i cui membri sono scelti da Emmanuel Macron [2]. Gli eletti non rappresenteranno le sezioni locali di partito e gli elettori di una data circoscrizione, saranno agenti del potere esecutivo, legittimati dal voto dei cittadini. Da notare, inoltre, che il progetto presidenziale di ridurre il numero di deputati da 577 a 300 non produrrà che un ulteriore rafforzamento della fragilità dei deputati di fronte a un presidente cui saranno debitori del posto e dell’eventuale rinnovo.

Se il Presidente non ha ancora la possibilità di “eleggere il popolo” ha quantomeno la facoltà di scegliere un gran numero di suoi rappresentanti.
Emmanuel Macron vuole annientare ogni possibilità di resistenza al potere legislativo. La sua ferma intenzione di rinnovare la classe politica può essere compresa solo in quest’ottica. Il neopresidente aspira a mettere da parte i “professionisti” della politica, quelli che hanno una buona conoscenza degli arcani del potere, ossia coloro che avrebbero maggiori possibilità di mettergli i bastoni tra le ruote. E il presidente vuole che un eletto non possa rimanere in carica per più di tre mandati consecutivi. Per Macron, la funzione elettiva non deve più esplicarsi in un saper fare, deve essere una “vocazione”. E, per fare pressione sui partiti che non controlla, il presidente propone che il finanziamento pubblico sia parzialmente subordinato al rinnovo dei candidati eletti.

Annichilimento del potere legislativo

La volontà di ridurre il potere legislativo a una semplice camera di ratifica è avvalorata dal desiderio di Macron di legiferare per mezzo di ordinanze. L’articolo 38 della Costituzione sancisce che «Il governo può, per mettere in atto il proprio programma, chiedere al parlamento l’autorizzazione ad adottare per mezzo di ordinanze, e per un periodo di tempo limitato, misure che normalmente appartengono alla sfera legislativa». Dopo aver abilitato il governo a legiferare per un ambito, quale la riforma della normativa sul lavoro, il parlamento potrà solo accettare o rifiutare il progetto dell’esecutivo, non potrà in nessun caso emendarlo. Il parlamento avrà così perso competenza legislativa per un periodo determinato e nei campi stabiliti dal progetto di abilitazione [3].

Siccome le riforme cui ambisce, per esempio quella del Codice del lavoro, sono particolarmente impopolari, il potere esecutivo non si accontenta di scegliere eletti di grande docilità, intende anche prevenire ogni velleità di resistenza revocando il potere legislativo del parlamento in materia. La neutralizzazione delle Camere è parimenti rafforzata dalla proposta di trasformare la procedura accelerata in procedura ordinaria [4]. La procedura accelerata, che già esiste, permette di ridurre il numero di passaggi fra le due Camere, contraendo quindi il tempo del dibattito parlamentare. La novità proposta da Macron consiste nel far diventare regola una procedura d’eccezione. Quand’anche questa riforma, che richiede una modifica della Costituzione, andasse a buon fine, il nuovo presidente non intende rinunciare alla procedura chiamata del “voto bloccato”, conosciuta sotto il nome di 49/3 [dal numero dell’articolo della Costituzione che la prevede, ndt], una tecnica che permette al governo di chiedere la fiducia per fare adottare un progetto di legge senza il voto dell’Assemblea parlamentare. In poche parole, anche se l’eccezione diverrà la regola, le procedure d’urgenza saranno mantenute.

In questo modo, la separazione dei poteri cara a Montesquieu, già malconcia a causa di decenni di riforme vòlte a concentrare i poteri nelle mani dell’esecutivo, viene ora annientata. La procedura voluta da Macron porterà a un risultato che sarebbe apprezzato dallo stesso Boris Eltsin, ossia alla formazione di «un buon parlamento, di un parlamento che vota le leggi e non fa politica».

Subordinazione della funzione esecutiva

La subordinazione del parlamento è accompagnata da una volontà di egemonia nell’alta amministrazione. L’entourage del nuovo presidente è fatto di alti funzionari, incontrati da Macron a Bercy [quartiere di Parigi dove ha sede il ministero dell’Economia, delle Finanze e dell’Industria, ndt] o all’Eliseo, che hanno già fatto parte di precedenti governi. Gli alti funzionari garantiscono continuità nelle istituzioni e possiedono un’esperienza che in taluni campi può essere determinante. Tuttavia, Macron ha annunciato di voler utilizzare il proprio potere di nomina per tenere saldamente in pugno l’alta amministrazione e poterla, in caso di bisogno, rimaneggiare [5]. Questa determinazione non mancherà di produrre conseguenze.

L’alta amministrazione svolge un ruolo importante nell’esercizio del potere da parte dell’esecutivo: preparazione dei progetti di legge, attuazione delle riforme. Può avvalersi di un certo margine di manovra nei confronti del presidente e del primo ministro, grazie alla continuità dell’azione amministrativa. Ed è proprio con questa collaudata prassi, ormai ventennale, che consente a ogni nuovo presidente di confermare un certo numero di direttori già al servizio di governi precedenti, che Macron vuole rompere.

Questa salda presa sull’amministrazione s’accompagna a un rafforzamento delle prerogative degli enarchi [6]. Gli enarchi occupano quattro ministeri chiave e la carica di primo ministro.

Aumentando la presa sulla funzione esecutiva, a scapito della continuità dell’azione amministrativa, allo scopo di far passare più facilmente le riforme volute dall’UE, Macron ci indica che, di fatto, il potere esecutivo nazionale, nonostante il suo rafforzamento nei confronti del potere legislativo, non opera per proprio conto, ma è al servizio delle istituzioni internazionali, di cui è semplice tramite. La riforma del Codice del lavoro, promossa dall’Unione Europea, è un esempio eloquente.

L’attuale crisi del sistema di rappresentanza dei partiti politici potrebbe essere formalmente paragonata all’operato del generale De Gaulle al momento della costituzione della quinta Repubblica. Tuttavia, il confronto può essere solo di facciata perché l’azione gollista sfociò nel 1958 in un rafforzamento della sovranità nazionale. L’operato di Macron va invece in direzione opposta.

Stato d’emergenza e riforma del Codice del lavoro

Attraverso le Raccomandazioni, Paese per Paese, pubblicate il 21 maggio, la Commissione Europea ha annunciato di attendere con impazienza la futura riforma del Codice del lavoro. Mettendo in atto in modo raffinato un procedimento linguistico, che la psicanalisi chiama denegazione, il commissario all’Economia, Pierre Moscovici, ha dichiarato che se «la Commissione non deve immischiarsi negli affari di una nazione», tuttavia la Francia «ha bisogno di riforme» [7].

Di fatto, il contenuto della legge El Komri e quello del nuovo progetto di legge di riforma del Codice del lavoro provengono dai GOPE, Grandi Orientamenti per le Politiche Economiche. Diventati raccomandazioni del Consiglio, vengono imposti ai Paesi membri dell’UE per mezzo di un “accompagnamento” che consente al Consiglio di sorvegliarli [8].

Le “aspettative” della Commissione sono esattamente sovrapponibili a quelle del padronato francese [9], duplice “speranza” che trova giustificazione nel contenuto del progetto. Nell’edizione on-line, Le Parisien ha presentato la bozza del progetto di legge del 12 maggio scorso che il governo intende imporre legiferando per ordinanze [10]. Si tratta, innanzitutto, di allargare l’ambito di competenza della «negoziazione collettiva aziendale». In particolare, nella bozza viene precisato che deroghe alla legge saranno possibili per mezzo di accordi aziendali. Un altro intervento prioritario riguarda il tetto degli indennizzi «per licenziamenti senza giusta causa». Il progetto vuole anche semplificare le forme di rappresentanza del personale, fondendo Comitato di fabbrica, Comitato per l’igiene, la sicurezza e le condizioni di lavoro e il Delegato del personale in un unico organo autorizzato a negoziare accordi aziendali, prerogativa sin qui riservata ai sindacati. Consapevole di incontrare una forte opposizione sociale, il nuovo presidente ha previsto non solo di far approvare a passo di carica e per ordinanze il testo, ma anche, e soprattutto, di prolungare lo stato d’emergenza fino al primo novembre, richiamando la funzione primaria della sospensione delle libertà: non per impedire attentati terroristici, bensì per neutralizzare il diritto a manifestare e così cancellare en passant cinquant’anni di conquiste sociali.

La moralizzazione della politica

Dopo essere stato eletto “per dovere” da cittadini che volevano “fare barriera all’estrema destra”, la moralità è altrettanto pregnante nelle dichiarazioni del neopresidente. La «vocazione», fondamento dell’impegno degli eletti, s’accompagna a una «moralizzazione della vita pubblica». Quest’ultima diventa “lo zoccolo” dell’azione del presidente, che insiste particolarmente sull’esempio che devono dare gli eletti.

La raffigurazione degli eletti pone in secondo piano ogni dibattito politico. Elaborando una bozza del progetto prima delle elezioni legislative, Macron fa «della moralizzazione» una questione urgente. Un casellario giudiziale vergine, fatta eccezione per condanne minori e contravvenzioni, sarà pregiudizialeper diventare parlamentare [11]. Nel momento in cui il progetto prevede di vietare a parlamentari e ministri l’ingaggio di familiari, è evidente che pone al centro l’affare Fillon. Il testo prevede anche una riforma dei mezzi finanziari di cui possono disporre deputati e senatori, imponendo «trasparenza» sui conflitti d’interesse a parlamentari e ministri, nonché divieto di cumulo di mandati [12].

Il progetto di legge sulla moralizzazione pubblica è un poco perturbato dall’affare che riguarda il ministro della Coesione dei territori, Richard Ferrand, pizzicato per una transazione immobiliare che coinvolge la sua compagna e criticato per la commistione tra cosa pubblica e affari privati che pratica da vent’anni [13]. Per il momento, Richard Ferrand esclude in maniera perentoria di dimettersi. «Non lo farò per due motivi: innanzitutto sono a posto con la mia coscienza e non sono messo in causa dalla giustizia della Repubblica, che rispetto profondamente, e (…) voglio dedicarmi alle priorità del mio ministero», ha ribadito [14]. La procura di Brest aveva ritenuto in un primo tempo che i fatti non costituissero violazione di norme. In seguito, il procuratore Éric Mathais si è ricreduto e ha aperto un’inchiesta preliminare, «dopo aver analizzato elementi complementari».

Una morale a geometria variabile

Il modo in cui l’affare Ferrand viene trattato è interessante. La lieve pressione esercitata su Richard Ferrand per spingerlo alle dimissioni è esemplificativa della distinzione che il nuovo Potere vuole fare tra «l’abuso di beni sociali», rappresentato dagli impieghi fittizi, e la normalità che costituisce, nel mondo degli affari, l’utilizzo legale di beni pubblici a profitto d’interessi privati. Del resto, il ministro della Coesione dei territori non scorge nella questione che lo riguarda alcun conflitto d’interesse [15]. E, effettivamente, non vi è alcuna contrapposizione: i beni pubblici sono, sin dagli albori del capitalismo, base per la valorizzazione di patrimoni privati.

La nozione di morale riguarda tanto il popolo che i suoi rappresentanti. Però i cittadini, sottomessi all’imperativo categorico di votare Macron «per dovere», per fare barriera contro il Front National, lo hanno fatto senza tener conto del loro interesse che era, in primo luogo, abolire la riforma del Codice del lavoro. Ci troviamo di fronte a una legge morale puramente astratta, di ordine kantiano, secondo cui «la volontà deve risolversi a compiere quell’azione, facendo astrazione dagli oggetti prospettati dalla facoltà di desiderare» [16]. Ciò non vale però per i “rappresentanti del popolo” per i quali, come dimostra l’affare Ferrand, l’interesse e il dovere sono strettamente congiunti. Il ministro della Coesione dei territori si fa forte quindi di un concetto sostenuto da Jeremy Bentham, teorico del nascente capitalismo, secondo cui «in una morale sana, il dovere di un uomo non dovrebbe mai consistere nel fare ciò che è nel suo interesse non fare» [17].

Traduzione
Rachele Marmetti

[1Il MoDem (Movimento democratico) è un partito di centro presieduto da François Bayrou.

[2David Dornbusch, « Les élus d’En marche ! "se montreront d’une docilité absolue" », Le Monde, 12 mai 2017.

[3Si legga: Daniel Rouscous, « Gouverner par ordonnances et 49.3, comment ça marche et quels garde-fous ? », L’Humanité, 6 juin 2017.

[4Elodie Derdaele, « La démocratie rénovée selon Emmanuel Macron », Programmesprésidentiels.com, 8 mars 2017.

[5Sébastien Billard, « Emmanuel Macron veut mettre la haute administration sous pression », L’Obs, 16 mai 2017.

[6Gli enarchi sono gli ex allievi dell’École Nationale d’Administration (ENA).

[7Cécile Decourtieux, « Bruxelles attend emmanuel Macron sur sa nouvelle loi travail », Le Monde, 22 mai 2017.

[8«I GOPE sono i “Grandi orientamenti per le politiche economiche”. Più precisamente, sono documenti preparati dalla direzione generale degli Affari economici della Commissione europea. Conformemente all’art. 121 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), questi documenti sono poi trasmessi al consiglio Ecofin (ossia il consesso dei ministri europei dell’Economia e delle Finanze), poi al Consiglio europeo (capi di Stato e di governo). Dopo la validazione, i GOPE diventano raccomandazione del Consiglio ai Paesi dell’Unione e sono oggetto di accompagnamento. Ancora, secondo l’articolo 121 «il Consiglio , sulla base dei rapporti presentati dalla Commissione, sorveglia l’evoluzione economica di ciascuno degli Stati membri». Questa “sorveglianza multilaterale” è resa possibile grazie alle informazioni generosamente fornite dagli Stati alla Commissione», Ce que la loi El Khomri doit à l’Union européenne, di Caroline Delaume, Le Figaro.fr, 17 maggio 2016.

[9Jean-Christophe Chanut,« Fin des 35 heures, de l’ISF...Ce que le Medef attend de Macron », La Tribune.fr ,le 16 mai 2017.

[10Catherine Gasté, « Le plan de Macron pour réformer le travail », Le Parisien.fr, 4 juin 2017.

[11Eléa Pommiers, « Et pour commencer, la moralisation de la vie publique », Le Monde, 7 mai 2017.

[12Jean-Baptiste Jacquin, « La moralisation de la vie publique au menu du conseil des ministres », Le Monde, 31 mai 2017.

[13Anne Michel, Alexandre Pouchard, Yann Bouchez, Jérémie Baruch & Maxime Vaudano, « A travers sa défense, Richard Ferrand confirme toutes les informations du ‘’Monde’’ », Le Monde, 30 mai 2017.

[14Roland Gauron, « Comprendre l’affaire Ferrand en cinq questions », Le Figaro.fr, le 1er juin 2017.

[15Anne Michel, Alexandre Pouchard, Yann Bouchez, Jérémie Baruch & Maxime Vaudano, « L’étrange conception du conflit d’intérêts de Richard Ferrand », Le Monde, 30 mai 2017.

[17Eugène Lerminier, « Morale de Bentham », Revue des Deux Mondes, 1834 - tome 2.