Dopo aver tolto a Daesh lo Stato a cavallo tra Iraq e Siria che gli avevano in precedenza assegnato, gli Stati Uniti vogliono recuperare parte dei mercenari per utilizzarli in altri modi. Il consigliere per la Sicurezza Nazionale, John Bolton, ha individuato nuovi obiettivi, nuovi partner e nuovi metodi. Questo congegno, ancora segreto, lo possiamo cogliere solo attraverso gli elementi già messi in atto. Thierry Meyssan esplora quest’universo di violenza.
Nel 1978, Zbignew Brzezinski, consigliere per la Sicurezza Nazionale del presidente Carter, decise di utilizzare i Fratelli Mussulmani contro i sovietici. Mandò così combattenti arabi a sostegno dell’opposizione afgana al regime comunista. Chiamata in soccorso dal governo afgano, l’Armata Rossa s’impantanò in un conflitto che non poteva vincere.
In Afghanistan i Fratelli Mussulmani non furono armati dalla CIA, che non ottenne l’autorizzazione del Congresso per un’operazione di tale portata, ma da Israele. Considerato il loro successo, gli arabo-afgani furono mobilitati in numerosi altri teatri di guerra. Ne conseguì, fra l’altro, che nel 1978-1982 i Fratelli, armati contemporaneamente da Israele e Iraq, tentarono la fortuna contro la Repubblica Araba Siriana. Una cosa tira l’altra, finché un rappresentante dei Fratelli fu integrato nello stato-maggiore della NATO durante l’attacco della Jugoslavia in Kosovo.
La posizione dei Fratelli Mussulmani come truppe suppletive della NATO s’interruppe alla fine della presidenza Clinton, ma la collaborazione fra Confraternita e CIA non è mai cessata. È ridiventata evidente con l’attacco alla Libia durante la presidenza Obama, quando fornì quasi per intero le truppe a terra dell’Alleanza Atlantica. Uno dei rappresentanti dei Fratelli fu persino integrato nel Consiglio per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti. In seguito, durante l’attacco alla Siria, il LandCom della NATO, insediato a Izmir, coordinò le truppe jihadiste.
Poiché l’amministrazione Trump si oppone per principio a che le truppe Usa facciano ricorso a gruppi terroristici, il ruolo dei Fratelli Mussulmani deve essere ridefinito.
Non si conosce ancora la nuova strategia messa a punto dal consigliere per la Sicurezza Nazionale, John Bolton. Tuttavia, molti elementi consentono di definirne i contorni.
Daesh
A inizio 2018 le Forze Speciali USA, illegalmente insediate in Siria, hanno esfiltrato migliaia di soldati di Daesh. A maggio 2018 il generale Yahya Rahim Safavi, consigliere militare dell’ayatollah Khamenei, ha accusato gli Stati Uniti di organizzare il trasferimento di combattenti di Daesh in Afghanistan.
Circa 7.000 di loro si trovano attualmente in Afghanistan. Diversamente dal passato, non sostengono i Talebani, che oggi si oppongono a ogni presenza straniera, ma li combattono.
Secondo il portavoce dell’Emirato Islamico d’Afghanistan (ossia dei Talebani), Qari Muhammad Youssuf Ahmadi :
«Gli invasori americani e i loro lacchè la notte scorsa [il 12 gennaio 2019] hanno compiuto un raid contro un accampamento dei Mujahidin a Pani Bus, distretto di Jwand, provincia di Bâdghîs, in cui erano detenuti membri di Daesh. Le forze congiunte nemiche hanno ucciso da martiri due guardie e se ne sono andati portando via 40 detenuti di Daesh. Sembra che gli invasori americani e i tirapiedi dell’amministrazione di Kabul abbiano compiuto questo raid per soccorrere i prigionieri di Daesh. Ogni volta che i mujahidin dell’Emirato Islamico [i Talebani] hanno dato battaglia a Daesh, gli invasori americani hanno aiutato Daesh e bombardato le postazioni dei mujahidin. Proprio come quando i mujahidin hanno sradicato Daesh da Darzab, distretto di Jowzjan: sul punto di essere debellati [ad agosto scorso], gli invasori americani e l’amministrazione di Kabul hanno insieme soccorso con gli elicotteri 200 membri di Daesh».
È a questo punto che il Centro di Lotta al terrorismo dell’Accademia militare di West Point pubblica una ricerca storica sulle divergenze tra i Mujahidin durante la guerra contro i sovietici. Questo documento ricorda che nel 1989, durante il ritiro dell’Armata Rossa e dopo il rientro di Osama Bin Laden in Arabia Saudita, giovani Fratelli Mussulmani contestarono il lassismo dei loro capi. Crearono la «scuola di Jalalabad», molto più rigida, che cominciò ad accusare gli uni e gli altri di empietà e li scomunicò (takfir). Questo è il conflitto che, sostiene lo studio di West Point, riemerse nel 2014, provocando la rottura tra Al Qaeda e Daesh.
Questa rievocazione del passato non può fare dimenticare che i Fratelli Mussulmani continuarono a essere gli ospiti, non solo dei Talebani, ma anche di tutti i resistenti afgani, fino all’assassinio di Ahmed Chah Massoud (egli stesso ex membro dei Fratelli Mussulmani), il 9 settembre 2001 (due giorni prima degli attentati di New York e del Pentagono). Per due decenni, l’Afghanistan divenne luogo di formazione degli jihadisti del mondo intero, in particolare dei combattenti del Caucaso russo. Oggi i Talebani sono molto più attenti nella scelta dei propri alleati e amici. Ormai controllano il 60% del territorio. La loro ideologia non si fonda più su criteri teologici, ma nazionalisti.
Durante la guerra contro i sovietici, i Fratelli Mussulmani furono legati soprattutto all’ex primo ministro Gulbuddin Hekmatyar, loro rappresentante nel Paese. Il 22 settembre 2016, con il sostegno dell’amministrazione Obama, Gulbuddin Hekmatyar beneficiò del perdono del nuovo Stato afgano e fu tolto dalla lista dei terroristi delle Nazioni Unite.
L’arrivo di Daesh in Afghanistan sopraggiunge quando l’amministrazione Trump cerca, a iniziare da luglio 2018, di negoziare con i Talebani. Ci sono stati contatti preliminari in Qatar con l’ambasciatrice Alice Wells, assistente di Mike Pompeo per l’Asia centrale. A settembre e ottobre 2018 i negoziati sono stati condotti dall’ambasciatore Zalmay Khalilzad, nonostante la preoccupazione del governo afgano che vi ha spedito un rappresentante, che però non vi è stato ammesso. Khalilzad, prima di essere naturalizzato statunitense, aveva combattuto a fianco dei Talebani, anche loro pashtun, contro i sovietici. È stato formato al neo-conservatorismo e, nel 2007, quando il Senato si oppose alla nomina di John Bolton, divenne ambasciatore ONU.
I Mujahiddin del Popolo
La scorsa settimana la capa dei Mujiahiddin del Popolo (MEK) iraniani, Maryam Radjavi, che risiede a Tirana, si è recata in visita ufficiale a Kabul, dove ha incontrato, in particolare, il presidente del Consiglio Nazionale per la Sicurezza ed ex ambasciatore negli Stati Uniti, Hamdullah Mohib. Maryam Radjavi dovrebbe recarsi nei prossimi giorni a Herat, distretto di Shindans, per stabilirvi una base militare della propria organizzazione. È qui che, secondo il giornale pakistano Ummat, a ottobre 2012 il Pentagono avrebbe già addestrato 2.000 Mujahiddin del Popolo.
Malgrado l’apparente omonimia, non c’è alcun rapporto tra i Mujahidin (con una sola d) dei Fratelli Mussulmani, che sono arabi sunniti, e i Mujahiddin (con due d) del MEK, che sono persiani e sciiti. Quel che unisce i due gruppi è soltanto l’essere strumentalizzati dagli Stati Uniti e praticare il terrorismo.
A iniziare dal 2013, il MEK è stato trasferito, con il sostegno degli Stati Uniti, dall’Iraq all’Albania, dove società israeliane hanno costruito per loro una piccola città. Tuttavia, il 23 giugno 2014 Maryam Radjavi, in un lungo discorso pronunciato davanti a 80.000 membri della setta e 600 personalità occidentali, si è rallegrata della riconquista dell’Iraq da parte di Daesh. È bene ricordare che questa vittoria fu organizzata con l’aiuto del generale Ezzat Ibrahim al-Douri, ex braccio destro del presidente Saddam Hussein e a tale titolo protettore dei Mujahiddin del Popolo.
I legami di John Bolton con il MEK risalgono all’amministrazione Bush. Si sono rafforzati con la presenza di Bolton nel 2010 e nel 2017 ai meeting annuali del MEK a Villepinte (Francia), ricompensata con 40.000 dollari. Divenuto consigliere per la Sicurezza Nazionale, ora sta raccogliendo gli jihadisti di Daesh e i fedeli di Maryam Radjavi attorno a un obiettivo comune.
Il bersaglio più immediato di quest’alleanza terroristica dovrebbe essere l’Iran, da cui l’Afghanistan è diviso da una lunga frontiera difficilmente difendibile.
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